La parola

Dilemma

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La prima riflessione che si pone, quando si affronta un termine come quello che abbiamo scelto è certamente quello se si è in grado di sciogliere la domanda in esso insita. Come a dire, riusciremo ad uscire dal suo significato più proprio o confermeremo il suo valore complesso e filosofico? Decidendo di uscire subito da questo circolo vizioso e per non tediare chi legge, ci occupiamo allora del vocabolo che è: dilèmma.

Secondo il dizionario, deriva dal latino pressoché identico che è però tributario dell’antico greco dove troviamo qualche primo indizio sul significato. La parola greca infatti è composta da un prefisso di (che indica il due) e dal termine lemma (che a sua volta si traduce in premessa. In sostanza seguendo la semplice grammatica dilemma indica due premesse nei confronti della quali si pone, si porrebbe, una scelta. Tecnicamente si ritiene una forma di argomentazione, nella quale si stabilisce, in generale, un’alternativa tra due ipotesi (dette corni del dilemma da cui deriva l’espressione dilemma cornuto con cui è spesso chiamata quest’argomentazione), da ciascuna delle quali deriva la conseguenza, affermativa o negativa, che si vuol dimostrare. Con significato estensivo, l’alternativa, la necessità di scelta tra due contrastanti soluzioni quando ogni altra via d’uscita sia esclusa. In questa ultima accezione spesso si parla di atroce dilemma quando la scelta è carica di conseguenze anche gravi, poiché la forza logica del dilemma si basa sul presupposto che, nella duplice alternativa che lo costituisce, sia esaurita la totalità dei casi possibili. Naturalmente non si esclude la possibilità di scelta tra tre premesse, il trilemma o ancora tra quattro ossia tetralemma (dal greco che per quattro usa il termine tetra).

Nasce allora legittima la curiosità per la scelta, in collegamento come sempre con l’attualità che circonda in politica ed oltre. Nel corso di questi decenni, l’italiano medio si è trovato più volte e sempre con minori certezze di riferimento, alle prese con la scelta di questo o di quello schieramento, di questa o quella forza politica, alla ricerca di stabilità o quanto meno di equilibrio.

Non occorre essere aruspici od indovini per capire che la realtà nella quale viviamo non ha ancora risolto quella domanda iniziale, anzi le evoluzioni sono andate molto oltre le premesse, rendendo il dilemma quasi insuperabile.

La quotidianità ci offre ora anche altre letture. La pandemia mondiale e i riflessi nel nostro paese in termini di salute pubblica e poi di soluzioni economiche e finanziarie prima che politiche tout court, pongono a chi ha responsabilità di governo (ma eguale dilemma vivono donne e uomini ogni giorno per se stessi, per le proprie famiglie, per le comunità in cui sono inseriti) sostanzialmente due opzioni che escludono o quasi altre derivate, ovvero vie di uscita!

Lo stato delle cose, l’imponenza dei problemi, la svolta storica necessaria di cui ognuno sente il bisogno in un paese altrimenti destinato ad una decrescita sempre più infelice (contrariamente alle folli affermazioni di qualcuno), stanno mostrando a chi è al governo ma anche alle opposizioni, qual è la posta in gioco. Il Paese deve essere aiutato ad uscire da un impoverimento umano e di risorse micidiale, da un avvitamento che sembra senza speranza. Per farlo occorrono scelte coraggiose e anche dirompenti sugli stanchi e vetusti equilibri di sempre. Non quella prive di logica e di senso proposte in questi anni da apprendisti stregoni non della politica ma di se stessi, ma basate su assiomi semplici ma determinanti per avviare il futuro. E questo riguarda tutto. Riguarda la sanità nel suo insieme, il rafforzamento di quella pubblica e il giusto equilibrio con le risorse private; il mantenimento di un apparato industriale capace di sorreggere lo sforzo; un sistema di infrastrutture nazionali e locali alle quali non manchi più il solito ultimo miglio che blocca lo scorrere necessario degli uomini, dei mezzi, delle merci e così via, sciogliendo i nodi tra mobilità pubblica, privata, auto, treno, nave e via dicendo.

Solo un disegno prospettico serio può riportare in equilibrio la navicella Italia altrimenti fortemente inclinata in direzioni improduttive e prive di senso.

Da quanto detto discende allora una logica conseguenza. Chi ha responsabilità nazionali e locali deve risolvere il dilemma principe: lavorare per il paese, per le comunità senza contrasti con i vicini, in un armonico esercizio virtuoso di capacità amministrative e perseguendo il famoso bene comune. Oppure pensare al proprio particolare, al proprio orticello, al proprio futuro? Questi ultimi non sempre sono coniugabili con il fine principale e dunque agire nella direzione giusta e condivisa potrebbe non portare i frutti sperati. Si intende dire che le forze politiche che assumono seri impegni di fronte ai cittadini potrebbero non vedersi premiate per questo, ma semmai penalizzate per la severità e durezza di intervento, per il taglio di sprechi ed eccessi sinora visti come diritti inalienabili ma non per tutti. Insomma tagliare privilegi che non sono soltanto quelli di 400 parlamentari in meno ma riguardano una pletora di persone in tutti i gangli vitali dello Stato, mentre occupazione e crescita di settori promettenti scontano lungaggini e ritardi di burocrazia!

La cruda verità è dunque: cosa si vuole seguire dei due corni del dilemma? E pensabile ottenere quell’iperbole che l’antico adagio definiva “la botte piena e la moglie ubriaca”? La storia dell’umanità insegna che non sempre si possono conciliare gli opposti. I ritardi del nostro paese derivano proprio dal tentativo di farlo. Forse è il momento di voltare pagina e provare il contrario. Magari qualcosa di buono potrebbe nascere!

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