Interni

Cinquestelle tra identità e sopravvivenza

• Bookmarks: 12


Le amministrative non sciolgono i nodi del movimento

Le giornate scorrono senza variazioni all’insegna dei bollettini della protezione civile e delle autorità sanitarie sulla situazione della pandemia nel paese, sul livello di rischio che sale lentamente ma appare ancora contenuto, e delle decisioni che il governo si appresta ad assumere per governare una fase due che sembra non cominciare mai. Il Paese sta provando a convivere con il virus ma nessun elemento dei tanti messi in moto dall’esecutivo dalla sanità sino all’economia sembra ancora dare i suoi frutti. Sullo sfondo, come qualcosa di simile a una sirena o ad un ultima thule, il recovery fund o meglio il sistema di interventi che guardano al futuro e alle nuove generazioni i cui effetti potrebbero dispiegarsi nella seconda metà del prossimo anno.

Sarà dunque un autunno e poi un inverno difficile, carico di tensione e di preoccupazione per gli italiani in attesa che le potenzialità messe in moto dal governo possano divenire palpabili e consentire un vero colpo d’ala, una di quelle risalite che caratterizzano il nostro popolo alle prese con le difficoltà o le calamità. Quello che appare sempre più difficile da comprendere è il mondo politico e ciò che ad esso gira intorno.

Quello che sembra di vivere è una continua, inarrestabile bolla sospesa. Privi ormai come siamo di ogni ancoraggio realistico, che non siano antichi riferimenti storici all’origine peraltro di molti dei problemi attuali, i nostri politici interpretano un ruolo ad essi sconosciuto e poco congeniale. La pandemia non ha solo modificato il nostro modo di vivere, ma ha intaccato anche i riti e le consuetudini della politica. Un bene per alcuni, come i risultati referendari, una forte preoccupazione per chi vede in quegli stessi dati un’occasione da non lasciarsi sfuggire per riformare il sistema, dargli compiutezza istituzionale e un nuovo equilibrio.

Questo mentre l’esecutivo, stante la situazione di emergenza, assoluta novità di scenario, esercita e soprattutto amplia il suo potere. Il premier araba fenice continua la sua narrazione indicando un orizzonte che solo lui probabilmente vede con chiarezza, immaginando un paese rinnovato e felice. Non si nasconde le difficoltà certo, ma il soliloquio al quale siamo ormai avvezzi di giorno in giorno non può che far preoccupare chi ha a cuore gli equilibri costituzionali, i pesi e contrappesi che occorrono perché il sistema sia stabile ed efficiente. Un ruolo in qualche modo necessitato e ampliato dalle circostanze, ma che in un paese come il nostro non è una garanzia, quanto piuttosto una complicazione. Per ora una scommessa che cementa la coalizione in vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

In questo orizzonte medio lungo, si situa anche il quadro politico e le sue evoluzioni. Le amministrative, nei ballottaggi appena conclusi in alcune decine di centri medi e piccoli, hanno visto una affermazione decisa del Pd e di quei grillini che sembrano divenuti un appendice. Surreale dunque ascoltare il segretario pd che loda l’alleanza con Di Maio mentre alle urne il movimento si liquefà. Il Pd in sostanza si rafforza ma fagocitando i pentastellati senza più riferimenti né passati né futuri. Una vittoria di Pirro in sostanza se misurata con il primo turno, che non risolve anzi complica il lavoro di ricostruzione del centrosinistra. Una ricostruzione, tra l’altro, che dovrebbe una buona volta basarsi su un disegno paese e non sul trito e ritrito ritornello della necessità di fermare “le destre” come sovente afferma. Un riflesso condizionato ex comunista che mostra come senza l’avversario-nemico, la nostra sinistra non riesca a trovare una strada vera di rappresentanza delle istanze popolari ma in questo nuovo millennio, in una storia diversa. Storia che dovendo essere magistra vitae richiama anche alla opportunità di cambiare e non di seguire sempre gli stessi schemi ormai vuoti. Un centrosinistra che dovrebbe tornare se lo volesse a rappresentare veramente le istanze del paese e proporsi come guida, non come rappresentanza di parte in conflitto con le altre. Uno schema bipolare improprio che favorisce la concentrazione del centrodestra senza favorirne le espressioni più moderate e aperte al confronto.

Dando per scontato però che lo schema continui ad essere applicato, quel che deve far riflettere è la deflagrazione, quasi implosione che sta caratterizzando il movimento cinquestelle. O meglio quello che resta di esso. Due anni al governo, con due maggioranze diverse stanno producendo una consunzione ai limiti del parossismo dove con evidenza emergono i nodi irrisolti e le debolezze intrinseche dell’idea iniziale: una vagheggiamento, un esperimento sulla pelle del paese. Paese che ha dato loro grande affidamento sino a farli divenire maggioranza relativa e che ora sta chiedendo il conto del nulla, del vuoto pneumatico al di là di specifiche capacità personali, che sembra caratterizzarne la proposta politica. Una debacle che descriverebbe in altri tempi il meriggio avanzato di antiche forze politiche ormai fuori tempo, non certamente quelle di un gruppo che si candidava a guidare il paese. Oggi, se si votasse il quadro sarebbe molto diverso e pur con un’addizione a somma zero ad avere il maggior favore sarebbe il partito democratico, per poi trovarsi però in uno stallo e un isolamento progressivo. Il rischio cioè è che il pieno apparente attuale in Parlamento si trasformi in un vuoto e che in quel vuoto non vi sarebbe un immediata espressione politica capace di dargli un senso.

La spaccatura verticale tra l’ala ribelle del movimento e quella governativa sembra ogni giorno che passa insanabile come dimostra l’alzata di scudi di Casaleggio, ma quel che manca non è soltanto un vero leader, ma un disegno complessivo al quale ancorare gli italiani che li votano e  dare loro un motivo per farlo. Chi di vaffa’ ferisce, potremmo parafrasare, di vaffa’ rischia di perire!

12 recommended
bookmark icon