Scienza

Non bastavano i negazionisti, ora ci sono pure i pentiti dell’ideologia ambientalista

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Ma non sempre i cosiddetti esperti hanno sempre ragione

Se qualcuno pensa che la pandemia del Coronavirus sia una maledizione biblica, allora non sa nulla di quello che accadrà nel prossimo futuro al nostro pianeta almeno secondo i cosiddetti esperti.

Lo scorso 22 agosto è stato il giorno del super sfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day), un appuntamento annuale dove si verificano i dati provenienti da varie organizzazioni ambientaliste per comprende lo stato di salute della Terra.

Ciò che si deduce da questo ultimo incontro è il continuo e inarrestabile sfruttamento dissennato delle risorse naturali più del nostro effettivo bisogno, il tutto in modo talmente scellerato da non dare alla natura neanche il tempo per riprodurre il suo ciclo vitale.

Insomma, ci comportiamo come gli abitanti dell’Isola di Pasqua i quali, secondo alcune teorie, consumando tutto il legname delle loro foreste per la elevazione dei famosi Maoi (le gigantesche statue di granito), distrussero nel contempo il loro habitat vitale e morendo letteralmente di fame in pochi anni ed anche questo sembra essere il nostro destino se non ci fermiamo in tempo.

In questo modo l’umanità andrà ad accrescere il proprio deficit ecologico nei confronti della Terra; un aumento iniziato dai primi anni ’70 senza mai fermarsi, almeno secondo importanti istituti come National Footprint & Bio-Capacity Accounts e fanno parte del Nfa, (l‘organizzazione di autoregolamentazione a livello di settore per l’industria dei derivati ​​statunitense, che fornisce programmi di regolamentazione innovativi ed efficaci) con dati basati sulla banca dati delle Nazioni Unite.

Tante ricerche, informazioni, report che certo non fano dormire sonni tranquilli a chi è digiuno di cose scientifiche e si deve affidare ai cosiddetti esperti.

Ma siamo sicuri poi che siano poi esperti bravi e siamo ancora sicuri che la loro metodologia sia esatta e non sia, purtroppo, viziata ideologicamente?

Lentamente, come in ogni ciclo vitale, tutto si rinnova anche il pensiero, e gradualmente le molte certezze di ieri adagio, adagio cominciano a vacillare.

Luc Ferry, filosofo francese, docente, scrittore di decine di saggi e anche ministro della pubblica istruzione sotto il Governo di Jaques Chirac, dove si è impegnato per far approvare le leggi sulla laicità dello Stato, dunque non un conservatore, è bene precisare, nonostante le sue convinzioni verdi, ha denunciato il bluff di questi dati e delle relative conseguenze catastrofiche, dimostrando come il D Day del sovra-sfruttamento della Terra, almeno così come è formulato, è poco scientifico e, dunque,  ha poco senso.

In un lungo articolo su le Figaro ha affermato tra l’altro che: “Trattandosi della capacità della superficie terrestre o marittima di produrre le risorse che noi consumiamo ogni anno, tutto dipende ovviamente dallo stato delle scienze e delle tecniche utilizzate. Un ettaro di terra non produce la stessa quantità di beni se lo si coltiva con gli strumenti agricoli del Medio Evo o con le biotecnologie moderne”.

In pratica, come in altri scritti, Ferry è convinto che dietro questi concetti catastrofistici si nasconde in realtà un’anima che odia il progresso e, dunque, la modernità.

Gli fa eco a queste affermazioni fuori dal coro Sylvie Brunel, economista, scrittrice, specialista in questioni che riguardano lo sviluppo e docente alla Sorbona, la quale ha contestato duramente questo tipo di calcoli sulla Terra e le sue conclusioni di questo dilagante antimodernismo che: “Misconosce tutte le acquisizioni del progresso tecnico, riposa su delle basi altamente discutibili, la cui caratteristica è di penalizzare sistematicamente tutte le attività legate alla modernità – e aggiunge – quando un dato non entra nel suo sistema di calcolo, l’impronta ecologica non ne tiene conto, molto semplicemente”.

Niente male come serietà di dati!

Se queste sono due importanti personalità del mondo scientifico, cominciano però ad essercene sempre di più tra scienziati, intellettuali, politici nel mondo che non accettano più il pensiero unico sull’ambiente.

Tra questi, ha suscitato grande sconcerto negli ambienti green americani, la ritrattazione sull’ambientalismo ideologico di Michael Shellenberger, già presidente di Environmental Progress, organizzazione militante nell’ambito dell’energia pulita, ambientalista della prima ora, proclamato peraltro “Eroe dell’Ambiente» dalla rivista Time nel 2008, dunque, non certo un personaggio improvvisato eppure dopo aver denunciato per anni i rischi derivanti dal cambiamento climatico in atto,  ha avuto il coraggio di fare marcia indietro, con un mea-culpa clamoroso asserendo: “Come esperto, cui è stato chiesto dal Congresso di fornire una testimonianza obiettiva, invitato dall’Ipcc-Intergovernmental Panel on Climate Change a fare da revisore del suo prossimo rapporto di valutazione, sento l’obbligo di scusarmi per come noi ambientalisti abbiamo fuorviato il pubblico”.

Una auto-accusa sorprendente.

In interviste, articoli e conferenze ha ribadito cose ancora più sconvolgenti per gli ambientalisti di ogni latitudine come, ad esempio, il dato che l’Amazzonia non sia in effetti il polmone del mondo, che i cambiamenti climatici non sono la causa dei peggiori disastri naturali; ha contestato, inoltre, avendo dati di prima mano, il pericolo assai ridotto dell’anidrite carbonica che sta diminuendo nel mondo grazie alle nuove tecnologie tanto contestate dai verdi.

Semmai, avverte Shellenberger, c’è una minaccia ancora più grave dei cambiamenti climatici è la perdita di habitat degli animali selvaggi e la loro uccisione, un tema che crea problemi seri alla nostra salute quando entriamo in contatto con animali fino ad oggi isolati, ma che possono portare all’uomo infezioni gravi fino ad arrivare alle epidemie di cui ancora non conosciamo la portata.

Infine, ma le argomentazioni di ex ambientalista sono moltissime, se vogliamo prevenire le future pandemie servirà più agricoltura industriale di alta tecnologia; e non meno, come invece vorrebbero gli ecologisti puristi.     

I fatti che fornisce Shellenberger in libri, conferenze e molto altro, dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, solo l’allarmismo sul clima quando non è giustificato crea un vero problema di paura nonostante dati controcorrente che provengono dai migliori studi scientifici disponibili, inclusi quelli condotti o accettati dai principali organismi scientifici internazionali.

Insomma, vista anche la fonte, ci sarebbe da discutere per mesi e forse anni sui giornali o sui vari talkshow per queste affermazioni esposte da una figura così rappresentativa eppure sfido il lettore a trovare notizia di queste affermazioni se non sui soliti social sull’argomento.

Eppure, tutto tace; Shellenberger semplicemente non esiste; è cancellato dai media.

Al di là di ogni possibile confutazione di dati, informazioni e quant’altro possiamo affermare, avendo letto altri documenti, che la discussione scientifica che dovrebbe essere assolutamente neutra, in realtà si muove secondo convinzioni ideologiche e questo un vero pericolo e non solo per la comunità scientifica, ma anche per tutti coloro che vogliono veramente combattere i problemi della Terra in maniera chiara e costruttiva e soprattutto onesta.

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