Una sorta di ombra si aggira tra di noi, non solo in Italia. Offuscati dal lockdown e dalla sua eccezionalità ed invasività l’abbiamo quasi dimenticata e a tratti ritorna in espressioni di contorno o come corollario di un ragionamento. Eppure costituisce il primo elemento di analisi della complessa stagione che viviamo. Forse tratti in inganno dal suo significato immediato cerchiamo di pensare ad altro, ma il perdurare della epidemia pandemica ci ripropone ad ogni passo la sua immanenza e anche la opportunità/necessità di rispettarne il valore di prevenzione e controllo.
Parliamo di quarantena. Più d’uno i significati. Ad esempio in termini religiosi indica un periodo di quaranta giorni anche di digiuno. Più in generale e nel senso che ci appartiene di più indica il periodo variabile di segregazione e di osservazione al quale vengono sottoposti persone, animali e cose ritenuti in grado di portare con sé o trattenere i germi di malattie infettive, specie esotiche. La parola e il suo uso vengono da lontano ed indicavano letteralmente la durata originaria di quaranta giorni, che in passato si applicava rigorosamente soprattutto a chi (o a ciò che) proveniva per via di mare.
Una misura di profilassi che oggi è stato ridotta e misurata a seconda delle varie malattie, in rapporto al relativo periodo d’incubazione e alle pratiche di disinfezione. Altresì delinea anche il tenere qualcuno lontano, in disparte, escluderlo per un dato periodo da una possibile attività o utilizzazione. Se ne fa uso anche quando si dilaziona una promozione, una nomina o un’ elezione; o ancora quando non si vuol dare immediata attuazione o pubblicità a qualcosa, in attesa di un momento più opportuno, di ulteriore esame e accertamento (si dice anche di merci o prodotti, per es. medicinali e materiale sanitario, che non hanno avuto ancora l’approvazione per essere messi in distribuzione o in vendita).
Un tempo le provenienze infette o sospette (si trattava di solito della peste, che recava maggiori danni e destava più vivi allarmi) erano d’ordinario respinte senza discriminazione alcuna, con gravi conseguenze per il commercio e spesso con dispregio delle ragioni di umanità. Secondo il dizionario questa condizione durò per quasi tutto il Medioevo come norma e poté verificarsi in seguito, benché sempre più raramente, e, per eccezione, anche in tempi molto vicini. Comunque, è merito incontestabile della Repubblica veneta (alla quale fin dal 1347 si doveva l’elezione di tre “savı” o provveditori di terra, che poi si trasformarono in magistrati di sanità) di avere, nella prima metà del sec. XV, istituito una vera e propria polizia sanitaria marittima, confinando i navigli infetti o sospetti in appositi canali tra il porto di Malamocco e Poveglia, e le persone nell’isola di Santa Maria di Nazareth, detta Nazarethum.
Data da quell’epoca una disciplina delle quarantene, così chiamate dall’abituale durata del periodo di segregazione e osservazione, in origine e per lungo tempo fissata in quaranta giorni, forse in omaggio a uguali periodi di purificazione religiosa. Invero, mentre non mancava chi avrebbe voluto protrarre tale durata, altri si chiese ben presto se non fosse possibile ridurne i termini senza danno sostenendo che il periodo di quaranta giorni era arbitrario e “che a stabilire rettamente la durata del sequestro era necessario tenere conto di varî elementi, e in particolare di due decisivi. Di questi, l’uno relativo alle persone, corrisponde a quello che oggi chiamiamo periodo d’incubazione dell’infezione, l’altro, relativo soprattutto alle cose, è in rapporto con la persistenza in vita del virus, e, per conseguenza, con le pratiche di disinfezione compiute o no all’inizio della quarantena.
Le epidemie di colera, che, dall’inizio del sec. XIX, colpirono a tante riprese e per diverse vie l’Europa – proseguiamo citando il dizionario – portarono al convincimento che occorreva in questa materia collegare gli sforzi e coordinare gli assetti difensivi. Si viene così al periodo delle conferenze internazionali per la profilassi dei morbi esotici, che s’inizia nel 1851, con la prima conferenza di Parigi. Ne derivarono in principio accordi di portata circoscritta, poi grandi convenzioni internazionali, con le quali si cercò di disciplinare sempre meglio la materia, naturalmente soggetta a continue revisioni, da un lato per l’aprirsi di nuove vie al traffico e per i mutati sistemi di navigazione, dall’altro per le grandi acquisizioni scientifiche e le deduzioni profilattiche che a mano a mano ne scaturivano”.
Ecco, dunque, cosa si cela dietro a questo termine che di per sé incute comunque, in ricordo dei tempi passati, un certo timore e coincide con una forte limitazione della libertà personale quando anche non costringe a precisi regimi di isolamento e di profilassi.
Nel tempo che viviamo sarebbe sempre più opportuno sottolineare e far comprendere che le misure estreme in questo campo possono e debbono riguardare soltanto le situazioni di estremo rischio e quelle nelle quali il diffondersi di morbi, virus o malattie abbiamo caratteristiche tali da ritenerne impossibile il contenimento con i normali strumenti di controllo sanitario.
Ancora, la parola evoca una ben precisa condizione anche se è stata surclassata dall’inglese lockdown che invece indica la chiusura vera e propria di luoghi, persone o cose e che si attaglia perfettamente alle prime misure coercitive di controllo.