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Contagi, la lotteria dei numeri

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Serietà della pandemia, limiti delle statistiche, rischi da overdose

Ogni italiano medio, normalmente informato, capace di districarsi tra la montagna di informazioni continue, incessanti sul coronavirus, la sua diffusione, i pericoli del contagio, l’estensione, i picchi, fatica ormai a mantenere quell’equilibrio che è necessario per affrontare la difficilissima situazione che da ormai quasi dieci mesi attanaglia le nostre vite, la nostra quotidianità.

A nessuno sfugge quel senso di impotenza tecnica, di paura ancestrale che la inconoscibilità reale del virus provoca in tutti noi, di fronte a quella misteriosa entità che ha trasformato la nostra vita e che da un anno la condiziona. Quello che però allo stesso tempo ci appare molto chiaro è che qualcosa non funziona nella comunicazione istituzionale e sanitaria sulla pandemia.

Difficile dire quale sia il metodo migliore per “convivere” e far convivere un intero paese – discorso simile va fatto a livello mondiale anche se l’eterogeneità dei modi costringe a guardare al nostro caso – con una minaccia immanente che mette a dura prova sia la stabilità emotiva di milioni di persone, sia la capacità del sistema sanitario e di assistenza sociale ineliminabili per affrontare ogni aspetto legato alle circostanze estreme nelle quali siamo costretti e vivere. Eppure appare evidente che qualcosa si poteva e doveva fare e meglio di quello al quale assistiamo.

La gravità di quello che è accaduto e che potrebbe di nuovo abbattersi su di noi è nei numeri delle vittime. Oltre 36 mila morti per il virus ci richiamano ad un elementare dovere di chiarezza e verità a tutti i livelli di responsabilità, sia istituzionale, sia sociale. Il Paese, i cittadini italiani hanno mostrato nel loro lato migliore una capacità particolare ad adeguarsi a qualcosa di assolutamente sconosciuto: una limitazione pressoché totale della propria libertà personale, di movimento, di aggregazione sociale e via dicendo. Ogni aspetto lavorativo, di studio, sportivo, ludico,  è stato sconvolto da questa tempesta perfetta che ci ha investito e che si annuncia di non breve periodo.

Eppure, lo ripetiamo, qualcosa non funziona. Non è in discussione l’azione messa in campo dal governo di fronte all’emergenza, né l’emergenza che ha investito tutte le collettività locali. Pur con accenti diversi e con impegno variabile, tutti i poteri pubblici si sono impegnati al massimo per cercare le risposte migliori alle esigenze emergenti e provocate dall’irrompere del virus e del contagio. La popolazione in tutti i suoi livelli – al netto delle inevitabili frange negazioniste e complottiste che possono essere considerate un disturbo ossessivo da stress – ha mostrato compostezza, rispetto delle regole, capacità di limitarsi e di limitare.

Eppure, qualcosa non funziona!

Non funziona la sensazione complessiva di una specie di loop ripetitivo che passando dai numeri ossessivamente ripetuti ogni giorno, ad ogni ora, sta logorando anche quel senso di normalità ritrovata che avevamo ritenuto di aver conquistato. I numeri, certo, sono identificativi della dimensione del problema ma la loro ripetizione acritica, senza intermediazione, con spiegazioni che non spiegano e generano ad ogni aumento la sensazione dell’ineluttabilità del rischio al quale siamo esposti, non permettono di porsi alcune domande necessarie. E questo senza mettere in discussione la necessità di interventi proporzionati e progressivi di fronte all’evoluzione della situazione.

Altro punto, il rincorrersi quasi in una gara irrazionale dei pareri degli esperti, degli scienziati. Non è possibile vivere la propria vita nel rispetto delle misure indicateci, essendo inseguiti da valutazioni, pareri, interventi di ogni genere e di ogni livello di scientificità che ogni ora mettono in discussione per la loro eterogeneità le nostre piccole chiarezze, essendo le certezze impossibili. E’ evidente che la corsa degli scienziati, dei virologi, degli epidemiologi per tentare di conoscere appieno il virus e trovare gli strumenti per contrastarlo sia sacrosanta, ineluttabile, che lo sforzo sia immane.

Quel che non quadra è che non si può immaginare ogni giorno di essere bombardati in modo contrastante sugli stessi nostri gesti quotidiani. Un giorno abbiamo un po’ di speranza, il giorno dopo, o dopo qualche ora, ripiombiamo nella cupa disperazione cadenzata dal martellamento del numero in aumento dei contagi, dei tamponi e del rapporto che dovrebbe legarli per dare un senso compiuto a quel che viene detto. Se i contagi aumentano o diminuiscono al salire o allo scendere dei tamponi e non in questo preciso ordine, quel che resta nelle menti e nella psiche di ognuno è uno spaesamento e uno straniamento che rischia di essere peggiore della paura che ci pervade. Un po’ di equilibrio sarebbe auspicabile in ogni comparto.

E questo ci porta necessariamente a parlare dell’informazione. Bene prezioso e cruciale in un sistema democratico e altrettanto delicato nel suo dispiegarsi. Anche qui non è in discussione la continuità informativa, la serietà delle notizie, l’approfondimento. Quel che non funziona è l’ossessività con la quale tutti gli organi a ciò deputati ci inondano di aggiornamenti, di news clamorose, di allarmi e di rassicurazioni. Non può certo esistere un’uniformità che saprebbe di regime, ma certamente leggere ogni giorno decine di pareri su ogni giornale o su ogni piattaforma, declinati da esperti, scienziati ma anche da personaggi dei quali è lecito dubitare e che non dovrebbero essere chiamati a dare indicazioni soltanto per riempire i palinsesti, non fa bene all’informazione con la “I” maiuscola e non agevola il compito di chi deve governare e decidere in termini di salute pubblica e di interventi di vario grado sulle nostre libertà. Misura e meno ossessività sarebbero anche qui auspicabili! Perché il rischio overdose è dietro l’angolo.

Un ultimo accenno al governo e al Parlamento. L’era della pandemia ha eclissato le assemblee rappresentative relegandole in secondo piano, il dirigismo ha preso piede come mai in passato ma tutto questo è avvenuto senza che si muovesse un vero sistema emergenziale. Le nostre libertà sono state limitate e ci siamo autolimitati per maturità e per timore, ma la gestione notarile di un’emergenza di queste proporzioni  è apparsa e appare sempre più inadeguata alla realtà. E anche in questo la sovra rappresentazione di chi guida il paese sta diventando rischiosa per il delicato equilibrio costituzionale. Prima o poi dovremmo anche occuparci di quel che si sta determinando nel sistema, per via amministrativa, per così dire. E il risveglio potrebbe non essere così tranquillo!

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