In difesa della nonviolenza e in ricordo di ALDO CAPITINI nel 52° anniversario della sua morte
Roberto Savio, dal suo rifugio spagnolo, ci segnala il ricordo di Aldo Capitini promosso dal “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo. Condividendone pensiero e azione pubblichiamo volentieri dividendo tra questo e il prossimo numero di ITALIANI quanto proposto, che ben si adatta al tempo che viviamo.
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Il 19 ottobre ricorre l’anniversario della morte di Aldo Capitini, il filosofo antifascista fondatore del Movimento Nonviolento, nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e a Perugia deceduto il 19 ottobre 1968.
Aldo Capitini è stato il più grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia.
Antifascista e perseguitato, docente
universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la
pace morì.
Lo ricordiamo riproponendo la lettura di un suo scritto:
“Principi di nonviolenza”
La nonviolenza risulta dall’insoddisfazione verso ciò che, nella natura, nella società, nell’umanità, si costituisce o si è costituito con la violenza; e dall’impegno a stabilire dal nostro intimo, unità amore con gli esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione più concreta ed anche più evidente di questa unità amore è l’atto di non uccidere questi esseri e di non operare su di loro mediante l’oppressione e la tortura. Questo impegno non è che un punto di partenza (come nessuno nella poesia, nella musica, può pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del nostro atto di unità amore non possono essere compensate che dal proposito di essere attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro singola individualità, mai dicendo che basta. La nonviolenza non è l’esecuzione di un ordine, ma è una persuasione che pervade mente, cuore ed agire, ed è un centro aperto: il che significa che ognuno prende l’iniziativa di unità amore senza aspettare che prima tutti si innamorino, e la concreta in modi particolari che egli decide con sincerità, e con dolore per ogni limite e impedimento che lo stato attuale della realtà-società-umanità ancora mette a sviluppare pienamente questa unità con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della nonviolenza, ma, al punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo fondamentale, che è di non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo, oggi più che mai, anche economicamente politicamente culturalmente, l’unità mondiale dell’umanità, l’atto di affetto all’esistenza di ogni essere umano ci porta al punto di questa unità umana. Verso gli altri esseri viventi ma non umani, come gli animali e le piante, tutto ciò che è fatto nell’affetto e rispetto alla loro esistenza, apre l’unità amore anche a loro e abitua a sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri più complessi e più simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha perciò grande importanza.
La nonviolenza non è soltanto contro la violenza del presente, ma anche contro quelle del passato; e perciò tende a un rinnovamento della realtà dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della società dove esiste l’oppressione e lo sfruttamento, dell’umanità nella sua chiusura egoistica e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finché diamo col pensiero e con l’atto la morte, non possiamo protestare contro la realtà che dà la morte. E perché la società non torni sempre oppressiva sotto un nome od un altro, deve cambiare l’uomo e il suo modo di sentire il rapporto con gli altri: la nonviolenza è impegno alla trasformazione più profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e perciò non si colloca nella realtà pensando che tutto resti com’è, ma sentendo che tutto può cambiare, e che com’è stata finora la realtà società umanità non era che un tentativo secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien dato un nuovo corso alla vita con i modi dell’unità amore e della compresenza di tutti.
La nonviolenza è in una continua lotta, con le tendenze dell’animo e del corpo e dell’istinto e la paura e la difesa, con la realtà dura, insensibile, crudele, con la società, con l’umanità nelle sue attuali abitudini psichiche: non può fare compromessi con questo mondo così com’è, e perciò il suo amore è profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell’amore, tutti avviati alla liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non è possibile altro, contribuendo a liberarli dando, più che è possibile, il bene.
La nonviolenza è attivissima, per conoscere gli aspetti della violenza e smascherarli impavidamente; per supplire all’efficacia dei mezzi violenti col moltiplicare i mezzi nonviolenti, facendo perciò come le bestie piccole che sono più prolifiche delle grandi; per vincere l’accusa e il pericolo intimo che essa sia scelta perché meno faticosa e meno rischiosa; per dare effettivamente un contributo alla società, che ci dà, in altri modi. altri contributi. Proprio in questo tempo la nonviolenza ha il suo preciso posto nell’indicare una svolta decisiva e nell’inserire il fatto nuovo. Che non si veda un altro Impero Romano e un altro impero barbarico, e sempre oppressioni e rivolte, nascere e uccidere e morire, e l’uomo dolorante e illusoriamente lieto, perché ancora non ha imparato a fondo quanto dinamismo rinnovatore hanno l’interiorità, la libertà, l’amore. Proprio appassionandoci per l’esistenza degli esseri viventi, rispettandoli più che si può, e dolendoci della loro morte, noi impariamo a sentire immortali i morti e uniti all’intima presenza.
Chi è nonviolento è portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime.
La nonviolenza è impegnata a parlare apertamente su ciò che è male, costi quello che costi, non cedendo mai su questa libertà, e rivendicandola per tutti; e a non associarsi mai a compiere ciò che ritiene il male. Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della nonviolenza è di non collaborare al male; e di creare difficoltà all’esplicazione di quei modi, senza sospendere mai l’amore per le singole persone, anche autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; cosi’ si riconosce di avere un alleato alla solidarietà che si stabilisce tra gli oppressi, nell’intimo stesso degli oppressori.
Chi è persuaso della nonviolenza tende alla comunità aperta, e perciò a mettere in comune il più largamente le sue iniziative di lavoro, la proprietà, non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura (partecipando e celebrando i valori culturali con altre persone), la libertà (favorendola con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo amministrativo della vita).
(Principi elaborati per il Centro di Perugia per la Nonviolenza costituito nel 1952)
[Il Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo, centropacevt@gmail.com, sostiene, promuove e coordina dagli anni ’70 campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali (quali ad es. la campagna italiana di solidarietà a Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano; il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi). Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano “La nonviolenza è in cammino”, cfr. www.peacelink.it.]