Il rischioso crinale di misure amministrative su diritti costituzionali
Il riacutizzarsi dei dati pandemici, quella seconda ondata prevista e temuta del virus, sta riportando il paese – ma discorso simile si può fare in gran parte del mondo – dinanzi alla necessità di misure drastiche e cogenti per tentare il contenimento dei contagi e controllarne l’evoluzione in attesa di rimedi clinici efficaci e in grado di rovesciare la situazione. Da oltre otto mesi, da quando si prese atto dell’arrivo della pandemia, l’Italia vive una stagione mai prima verificatasi di sostanziale sospensione di ogni aspetto consueto e normale della vita sociale, economica, produttiva, politica.
La capacità espansiva del covid 19 non permette certo di stare tranquilli e i soli strumenti a disposizione del governo e delle regioni sono quelli di ordinare, calibrare o imporre la chiusura di intere città, regioni e in ultima analisi – che tutti dichiarano di non volere – dell’intero paese. Una scelta che rischierebbe di dare un colpo pressoché letale a gran parte del tessuto economico e produttivo che stava appena riprendendo un po’ di vigore a fine estate.
C’è tuttavia un aspetto non secondario che va valutato. L’azione di governo dallo scorso marzo e, data la situazione, nei prossimi mesi, continuerà a meno di evoluzioni politiche lungi dall’essere chiare, ad essere gestita con un misto di attività amministrativa e in contemporanea con scelte di larghissimo impatto come quelle che si renderanno necessarie per impiegare la messe di risorse europee che arriveranno con i diversi strumenti decisi dall’Unione per affrontare la pandemia.
Qualsiasi osservatore, anche il più distratto non può che rendersi conto che quanto sta accadendo costituisce un rischio tendenziale del quale occorre essere coscienti per introdurre via via correttivi. Il paese è costretto a vivere contingentato, le limitazioni riguardano e riguarderanno tutti i normali esercizi dei diritti, da quello di movimento, a quello del lavoro, ai diversi momenti della vita sociale, culturale e via dicendo. Assistiamo sempre più ad una dematerializzazione della nostra esistenza, ad una parcellizzazione ed atomizzazione delle nostre vite individuali, alla negazione di quasi tutto ciò che fa vita di relazione, Una sola costante, la paura, il rischio del virus segna i nostri giorni, costringe la nostra quotidianità e limita ogni aspetto del vivere.
Naturalmente la narrazione che ascoltiamo tutti i giorni da esperti reali e sedicenti è che stiamo andando vero la società digitale, dove gli strumenti tecnologici semplificheranno il nostro vivere. La pubblicità che spesso anticipa i tempi ci parla in modo incessante di attività smart, di nuovi modi di comunicare, di nuovi strumenti di movimento, di intelligenza artificiale, di una vita fatta di contatti telematici, di istruzione a distanza, di lavoro e relazione da remoto. Senza rendercene conto stiamo introiettando la convinzione che questioni per anni lasciate indietro, soluzioni per decenni neglette possano come per incanto divenire oggi consuete, naturali, necessarie, anzi quasi anelate da milioni di cittadini. Quegli stessi cittadini che non possono più andare al bar, al ristorante, al cinema, al teatro, a fare sport nelle palestre, a correre sotto casa, ad incontrare amici e parenti nello stesso quartiere. A vivere insomma con quella sensazione di libertà e semplicità che da quasi settant’anni abbiamo conquistato e fatto nostra pure tra tanti ritardi, tante questioni rimaste in sospeso, tante zone d’ombra. Come sempre la privazione ci dà la misura di quello che avevamo rispetto a quello che abbiamo oggi.
Se dall’analisi sociale ci spostiamo alla politica, è netta la sensazione che quali cittadini siamo impotenti di fronte alle decisioni che ci vengono comunicate senza confronto, senza analisi, sostanzialmente imposte in nome dell’emergenza sanitaria.
Solo che quello stato d’emergenza dichiarato a inizio marzo e che continuerà almeno sino al 31 gennaio del prossimo anno e forse anche dopo, sta bloccando per via amministrativa (il profluvio di Dpcm che tardano ad essere convertici in Parlamento ne è la cartina di tornasole) la vita politica e l’esercizio delle libertà dei cittadini. Se a questo dato aggiungiamo l’effetto deterrente che si vuole instillare delle altissime multe che potrebbero colpirci se violiamo le regole imposte (per sicurezza ovviamente!) si manifesta sempre più la nostra reale condizione: siamo in pratica destinatari di misure come sudditi e non come cittadini consapevoli. E sempre per via amministrativa chi governa continua a trattare gli italiani come un popolo di egoisti e di indisciplinati.
Nessuno pensa che il premier abbia retropensieri autoritari o che il Parlamento non sia in grado di impedire qualsiasi deriva. Tuttavia la gestione verticistica, dirigista che si riscontra anche nei rapporti con le forze politiche di maggioranza e le relative tensioni che nascono fa avvertire qualche stridore. E questo aumenta se si guarda al rapporto con le opposizioni e con le amministrazioni regionali.
La compressione e la torsione dei diritti garantiti dalla Costituzione è sempre più evidente e in una democrazia sana quello che dovrebbe prevalere è uno spirito di unità di intenti, di condivisione delle responsabilità tra centro e periferia e tra diverse anime e componenti politiche. Tutto questo è mancato e continua a mancare: la coazione a ripetere, suffragata dalla oggettiva gravità sanitaria, continua il suo corso. Mentre sarebbe necessario, auspicabile e positivo che la solidarietà sostanziale che gli italiani continuano ad esprimere malgrado le difficoltà e i primi evidenti segnali di disagio anche violento, il provare a convivere con una condizione eccezionale, avessero nel governo, nel parlamento, negli enti locali una controprova evidente di uno sforzo veramente nazionale e unitario. Altrimenti rinunce, compressioni di diritti, torsioni costituzionali rischiano di divenire molto più gravi di quello che in apparenza si possa pensare. Ed è bene pensarci presto. Recuperare il danno potrebbe essere più pesante del previsto.