Le nuove misure per la pandemia descrivono un paese complesso
Il fatto di riflettere su una situazione allarmante per l’estensione dei contagi e la difficoltà del sistema sanitario di affrontare le urgenti necessità dei cittadini serve quale premessa per la considerazione del titolo, ovvero la divisione del nostro paese in fasce di differente complessità e gravità, facendo uso della scala cromatica. Ecco allora che, invece di vedere i colori della politica, quelli d’abitudine, notiamo l’utilizzo dei colori che vanno dal giallo al rosso (dimenticando ormai il rassicurante verde) per delineare le zone a maggior rischio e quelle con minor impatto rispetto alla curva dei contagi e delle terapie intensive.
Niente politica, dunque, ma solo indicazioni tecniche, sanitarie, a fondamento e base delle disposizioni cogenti di lockdown più o meno stringente? Dovrebbe essere così ma nel nostro caso nazionale così non è, o meglio così non è semplicemente. Ovvero la politica in senso lato riappare in modo carsico e si trasforma in campanilismi vari, di città, province, regioni. Se da un lato si lamentano interventi pesanti sulle regioni governate dall’opposizione, dall’altro si chiamano in causa questioni locali di province e di comuni che vengono colpiti rispetto a quelli limitrofi in un tripudio di particolarismi. In sostanza, se il lockdown è nazionale e stringente, tutti tacciono o meglio lo facevano. Se invece come la situazione impone o consiglia, si deve procedere a tappe lasciando in funzione la struttura portante dell’economia dove possibile, ma limitando la socialità nelle strade e nelle piazze di una regione, di una provincia o di un comune, allora pateticamente assistiamo da parte di pubblici amministratori ad espressioni del tipo “non si capisce perché loro no e noi sì” nel migliore dei casi. Oppure si fa riferimento a pressioni politiche non meglio identificate di questo o quell’esponente che ha o meno influenza sulle decisioni del governo centrale e di quelli locali.
Alle prese con oggettive condizioni differenti esplode senza mediazioni il campanilismo più ottuso e inquietante. La risposta dovrebbe essere allora chiara e tranciante da parte di chi amministra la cosa pubblica. Ma non nel senso classico del noi ordiniamo, voi dovete obbedire. Oltre che fuori luogo è anche segno di immaturità politica. Al contrario nel più convincente e lineare sforzo di chiarezza nelle disposizioni.
Nessun italiano medio può leggere diciotto pagine di riferimenti normativi incomprensibili per poi arrivare alle tre righe finali stremato per sapere se deve stare in casa, se può andare a fare la spesa, se può prendere la macchina e andare a trovare i genitori in un quartiere, comune, provincia o regione vicina. Oppure cercare di capire se una volta uscito di casa può rientrarvi. Nel lockdown della scorsa primavera vi è chi ha collezionato le famigerate autodichiarazioni in base alle quali dovevamo giustificare spostamenti, passeggiate al parco, attività fisiche e via dicendo. Per poi scoprire che il contagio è più facile in ambienti chiusi con affollamento, persino riunioni di famiglia possono dare origine a focolai.
La sovrabbondanza dei riferimenti normativi manifesta più che altro il timore dei pubblici poteri di incorrere in violazione o compressione dei diritti umani e sociali, piuttosto che nella volontà di essere chiari e convincenti. Ovvero se non indichiamo leggi, regolamenti, disposizioni sanitarie nazionali e locali sulla base dei quali fondare il divieto o la disposizione attiva dei comportamenti da tenere, qualcuno potrebbe poi chiamarci a risponderne. E’ una ricostruzione iperbolica, ovviamente, ma altrettanto prossima alla realtà. E l’affastellarsi di indicazioni, la montagna di riferimenti per arrivare alle poche righe finali ne dà plastica dimostrazione.
Certo facile è commentare, esprimere perplessità sul modo di comunicare, molto più difficile comunicare veramente. E tuttavia appare di evidenza elementare che in certo senso il riferimento ai necessari ancoraggi legali dovrebbe essere indicativo e lasciare spazio alle norme di pubblica utilità, rendendole comprensibili, oggettivamente applicabili ad ogni livello sociale, intuitive perché fondate sulla razionalità e il senso pratico che non manca al popolo italiano.
E soprattutto accompagnate da efficienza amministrativa, rapidità di intervento per tutto ciò che concerne il ristoro, l’aiuto che diviene necessario se si impedisce l’attività lavorativa, si ferma la rete dell’assistenza sul territorio. O ancora se la mole gigantesca di aiuti previsti abbandona il mondo delle cifre statistiche e diviene tangibile per chi ha bisogno, per chi chiede con onestà un sostegno. Se tutto questo avviene, la privazione della libertà o la sua compressione appaiono sopportabili o indirizzate nel giusto verso, perché le esigenze di base di ogni cittadino vengono riconosciute e alleviate. Oggi, non domani, però!
E qui ritorna il concetto dell’Italia a colori e il rischio che ci si trovi di fronte ad un arcobaleno impazzito non solo è immanente, ma quasi scontato e le divisioni non passano solo tra amministrazioni di diverso colore, aree geografiche, nord o sud. Ma dentro gli stessi pubblici poteri, tra chi garantisce efficienza e chi procede nel solito metodo inveterato e dilatorio, perché tanto “a’ da passà a nuttata”!