Esteri

Il grande Imbecille

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Il nostro Roberto Savio ci invia l’articolo di Juan Gabriel Valdés edito l’8 gennaio scorso, ovvero a caldo, da EL MOSTRADOR che ci invita a tradurre e pubblicare con il consenso del suo autore.
L’editore conclude precisando che la responsabilità del contenuto dell’articolo va ascritta esclusivamente all’autore in quanto non rispecchia necessariamente la linea editoriale né il pensiero del giornale. Precisazione alla quale non può che associarsi ITALIANI.net, più per rispetto dell’istituzioni che del personaggio.

Il grande Imbecille

È proprio qui che risiede la forza di Donald Trump o di qualunque altro personaggio tornasse a ripeterne le gesta in un prossimo futuro. È nella sua menzogna che si nasconde la più grande debolezza della democrazia americana e, in definitiva, di qualsiasi sistema democratico. Trump ha distrutto l’idea fondamentale che esista una particolare relazione tra democrazia e verità, una premessa essenziale nella creazione e nel consolidamento delle democrazie occidentali. Lo ha fatto non in un paese piccolo e marginale con una storia di militari o di dittatori, ma in quella che era considerata la prima democrazia al mondo. E ha avuto il sostegno non di una piccola parte della popolazione, ma di un numero non molto distante dalla metà della popolazione.

“Muss. Il Grande Imbecille” è il titolo del famoso saggio che Curzio Malaparte scrisse contro Mussolinie che avrebbe potuto benissimo essere scritto contro Donald Trump. “Che strumento pericoloso può essere lo Stato nelle mani di un uomo senza scrupoli, la cui unica ambizione è quella di imporre al popolo l’idolatria di se stesso”, scrive Malaparte. E aggiunge: “Il capolavoro di Mussolini da statista è stata la capacità di risvegliare, far emergere e organizzare, mettendo a disposizione dei propri fini, tutte le forze oscure e cieche che agiscono inconsciamente nel mondo sotterraneo della psicologia. del popolo.” Il testo è del 1931, ma avrebbe potuto essere scritto oggi[1]. Incarna Trump. Addirittura, incarna tutti quegli autocrati e aspiranti autocrati che fanno del loro narcisismo la base e il fine della loro azione politica, e trovano nelle paure e nelle insicurezze che affliggono vasti settori della popolazione la forza per impadronirsi dello Stato.

Due giorni fa abbiamo visto rappresentanti increduli di quelle “forze oscure e cieche”, quella “manciata di deplorevoli”, come una volta li chiamava Hillary Clinton, invadere il Congresso, e poche ore dopo, 120 membri del Congresso repubblicano opporsi alla vittoria di Joe Biden quale Presidente, basata sulle stesse falsità che avevano guidato gli assalitori: bugie respinte da giudici e governatori federali, in cui, secondo i sondaggi, crede la maggioranza dei 75 milioni di americani che hanno votato a novembre per Trump.

Da un lato, c’è la rivoluzione dei social media. Grazie a Twitter – strumento che collega direttamente il demagogo ai suoi follower e alla creazione per algoritmi di comunità chiuse in sé stesse – Trump è riuscito a far germogliare la sua quotidiana ripetizione di falsità in una realtà alternativa, cioè in un insieme di credenze ferme e di feedback come segni di identità da parte di comunità, gruppi sociali e folle manipolabili.

In modo tale che l’idea che Biden abbia perso le elezioni, che Trump le abbia vinte e che le élite lo abbiano privato della sua vittoria, falsa o assoluta falsità com’è, è lì per restare, e diventa il mito fondante di una parte del Partito Repubblicano che raggruppa i suprematisti bianchi; ma non solo questi, anche tutti coloro che hanno visto i loro posti di lavoro scomparire a causa della globalizzazione, il loro predominio razziale minacciato dagli afroamericani e dall’immigrazione latina, e le loro tradizioni e credenze pressate dalla diversità, la sessualità e la creazione di una cultura plurale. Vale a dire, un mondo drammaticamente risentito nei confronti di una società che si sviluppa in modo fenomenale e irregolare.

Il nuovo governo dovrà contare sul fatto che mercoledì scorso è apparsa un’estrema destra, che non vede la fine dell’era Trump nell’assalto al Congresso, ma piuttosto l’incendio del Reichstag, cioè il segnale per avviare la guerra contro coloro che considera un nemico interno e una minaccia alla sua esistenza. Armato di un mondo parallelo di cospirazioni oscure e cieche, quella massa disponibile a tutto continuerà a schierarsi dietro la leadership di Trump. E che, se questo smettesse di guidarla perché la giustizia o la salute lo impedissero, ne cercherebbe un altro fino a trovare un nuovo “individuo senza scrupoli, la cui unica ambizione è imporre l’idolatria di sé stesso al popolo“.

Il compito che attende i Democratici è di una portata mai vista da nessuna amministrazione precedente, almeno da quando Roosevelt aveva avviato la trasformazione del paese dopo la Grande Recessione. È proprio questa dimensione che può provocare il senso di resilienza che il popolo americano possiede e la fibra combattiva dei suoi leader, ma difficilmente diminuirà la polarizzazione politica che ha consentito a Trump di emergere.

Come può Biden riparare una frattura di questa portata? Il suo impegno per ridare dignità alla carica, serenità nelle decisioni e normalità al Paese è l’unico possibile, ma ben presto si imbatterà in fenomeni tellurici, soprattutto in un odio razziale che, anziché diminuire, sembra essere aumentato nei tempi recenti. Sarà favorita dalla maggioranza raggiunta alla Camera e al Senato; almeno inizialmente, se una parte del gruppo conservatore, pentita di Trump, tenterà di riconquistare la leadership del Partito Repubblicano in fede alle tradizioni democratiche.

Ma quanto potrà durare questa linea politica in un partito che sembra destinato a rappresentare quella strana coalizione tra i ricchi che lottano per gli sgravi fiscali, il risentimento sociale di chi perde il lavoro e chi si mobilita per paura degli immigrati? e l’odio verso chi ospita o pratica la diversità sessuale o religiosa? E come può Biden, invece, riconquistare il sostegno delle organizzazioni dei lavoratori bianchi e disarmare questa anomala coalizione di “Trumpisti” ricchi e poveri, senza alienarsi l’elettore progressista e liberale, quello che chiede più diversità e più diritti sociali?

In ogni caso, questo sforzo deve essere portato avanti in una situazione segnata da una pandemia che ha messo a nudo tutte le debolezze presenti in una società che da anni ha degradato i servizi pubblici, nel mezzo di una crisi economica di proporzioni paragonabili solo alla Grande Recessione e l’esistenza di un’enorme disuguaglianza segnata dalla stagnazione dei salari e della ricchezza dei gruppi intermedi dagli anni 80. Il compito che attende i Democratici è di dimensioni incomparabili rispetto a quelle di qualsiasi altro governo precedente, almeno da quando Franklin Delano Roosevelt avviò la trasformazione del Paese dopo la Grande Recessione. È proprio questa dimensione che può provocare il senso di resilienza che il popolo americano possiede e la fibra combattiva dei suoi leader, anche se difficilmente diminuirà la polarizzazione politica che ha consentito l’emergere di Trump.


[1] N.d.r.: In realtà “Muss.” è un testo a sé, distinto da “Il grande imbecille”, malgrado siano stati entrambe dedicati da Curzio Malaparte a Benito Mussolini. A quanto pare, il primo venne scritto nel periodo parigino di Malaparte come biografia critica di Mussolini, il secondo successivamente nel 43/44 e venne ritrovato tra i suoi appunti dopo la sua morte e pubblicato postumo.

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