Inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione e la giustizia italiana
Un aforisma di Pitigrilli[1] diceva già negli anni ‘30: “Se credi di andare in tribunale e trovare giustizia, allora puoi anche andare dal fotografo e farti levare un dente”.
Se allora quella frase poteva sembrare all’acido solforico (Pitigrilli fu infatti definito “scrittore all’acido solforico”) oggi appare meno sensazionale e fantascientifica.
Le recenti polemiche e scandali nella magistratura portano i cittadini a perdere la fiducia nella giustizia.
Va diminuendo la credibilità nei giudici, i quali appaiono divisi in fazioni che, eufemisticamente, vengono chiamate correnti, le quali lottizzano il Consiglio Superiore della Magistratura e tendono sempre più a politicizzarsi. Alcuni magistrati, poi, amano apparire sulla rete pubblica concedendo interviste sui procedimenti loro assegnati come anticamera per vedersi aprire le porte della politica.
Lo stesso Primo Presidente della Cassazione nel suo discorso, il giorno della inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, mestamente ha dato atto di “una fase in cui la credibilità della magistratura e dei suoi organismi è fortemente appannata, al punto da consentire dubbi sul suo assetto voluto dalla Costituzione”.
Sempre dal discorso del Primo Presidente apprendiamo che alla fine del 2020 erano in servizio negli uffici giudiziari n. 9.100 magistrati ordinari, oltre a n. 269 magistrati in tirocinio e n. 248 magistrati collocati fuori ruolo, a fronte di un organico complessivo di n. 10.751 posti, per cui residuano n. 1.313 posti vacanti negli uffici giudiziari e n. 534 posti da coprire con nuovi concorsi. La magistratura onoraria, che presenta una costante decrescita di presenze, è composta da 1.169 giudici di pace (su un organico di 3.512), 2.035 giudici onorari di tribunale (su un organico di 2.714), 328 giudici ausiliari di Corte d’appello (su un organico di 400 unità) e 1.722 viceprocuratori onorari (su un organico di n. 2.080), nonché 13 giudici ausiliari di Corte di Cassazione addetti alla Sezione tributaria (su un organico di 50).
A fronte di tale organico, al 30 giugno 2020 risultavano pendenti 3.321.149 procedimenti civili e 2.644.787 procedimenti penali.
Osserva poi il Presidente: “L’analisi del rapporto tra nuovi procedimenti iscritti e procedimenti definiti mostra un segnale di arretramento del tasso di efficienza degli uffici giudiziari, ascrivibile prevalentemente alla crisi pandemica”, auspicando “di recuperare l’efficienza del servizio giustizia in presenza delle relative condizioni ….
Di riforme del sistema giustizia e, al suo interno del giudizio di legittimità, ne sono state fatte molte negli ultimi anni, con un continuo, a volte turbinoso, susseguirsi di modifiche normative e organizzative, che a volte, invece di risolvere i problemi, hanno finito per complicarli … da tempo siamo consapevoli che un sistema giustizia adeguato alla complessità dei problemi costituisce un fattore insostituibile per la garanzia dei diritti e doveri dei cittadini, per la vita delle imprese e delle amministrazioni, per la ragionevole certezza dei rapporti economici, civili, sociali».
Mentre le riforme “organizzative” rientrano nei poteri degli uffici giudiziari, le riforme “normative” sono di competenza del Parlamento.
E qui la giustizia si imbatte in un altro sistema, quello legislativo, sul quale, al pari di quello giudiziario, la stima dei cittadini va scemando.
Sovviene al riguardo quanto nei primi dell’ ‘800 osservava Benjamin Costant de Rebecque nel suo libro “La libertà degli antichi comparata a quella dei moderni”.
Secondo questo intellettuale francese, nelle società complesse del mondo moderno gli individui non possono dedicare la gran parte del loro tempo al governo della società in cui vivono, come avveniva nella democrazia ateniese ai tempi di Pericle che dava ai cittadini il diritto di influenzare la politica direttamente attraverso dibattiti e voti nell’assemblea pubblica; la partecipazione politica diretta oggi non è più possibile: da una democrazia “partecipativa” si è passati ad una democrazia “rappresentativa”, dove l’interesse dei rappresentanti si scinde da quello dei rappresentati quantomeno perché i primi hanno l’interesse a mantenere il potere e quindi la maggior parte della loro attività è diretta al mantenimento dei poteri piuttosto che ai problemi di coloro che dovrebbero rappresentare.
E così sulla stampa quotidiana è dato leggere questi titoli:
“È l’ora di guarire la giustizia malata”; “La giustizia è malata ma nessuno vuole curarla”; “Di che corrente è il tuo giudice? E il tuo PM?”; “Giovanni Maria Flick: certezza del diritto sempre più lontana – Giustizia sfinita da DPCM e abusi delle toghe”.
Dobbiamo purtroppo constatare che abbiamo 22.000 leggi statali, 30.000 leggi regionali e 70.000 regolamenti: in totale sono 160 mila i testi normativi cui siamo soggetti.
Si dice che troppe leggi equivalgono a nessuna legge certa e ciò favorisce gli speculatori che sguazzano nel mare delle incertezze a scapito del normale cittadino e spesso hanno interesse che il processo duri più a lungo possibile.
Si chiede pertanto invano di intervenire sulle procedure, afflitte da un bizantinismo che allunga i tempi del processo all’infinito.
La UE ci ha ammoniti sulla durata di un processo civile: 1.025 giorni lavorativi contro 200 in Germania e 280 in Francia. La banca Mondiale ci colloca al 160° posto (su 185 Paesi) per la tutela giuridica dei contratti.
Da qui la
conclusione che se un sistema è malato diventa meno potente e la sua
inefficienza genera diffidenza e sfiducia.
[1] Pseudonimo di Dino Segre, scrittore, giornalista e aforista italiano.