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Il paese riparta … ma per davvero

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La sfida del governo deve essere sostenuta senza partigianerie di bottega

La maggiore chiarezza, in queste ore in cui stiamo assaporando il graduale ritorno alla normalità – ma nel “dopo” si dovrebbe aggiungere – è quella espressa dal presidente della Repubblica nella sua visita a Brescia e guardando all’intero paese: non è il momento delle divisioni e dell’agire di parte. Le ragioni di ognuno sono importanti ma in questo momento il valore più alto è quello della ripresa del paese e del superamento di steccati e interessi di parte. O tutta l’Italia si riavvia o nessuna ripresa sarà possibile. Volenti o nolenti da nord a sud sappiamo bene che il ritardo del mezzogiorno è dovuto sì a problemi pesanti del territorio, ma anche ad un’azione poco lungimirante nella localizzazione delle industrie e alla non considerazione del tessuto in cui esse si andavano a creare. Le cattedrali del deserto o giganti dai piedi di argilla stanno lì a mostrarlo in tutta la sua evidenza. La ripresa del sud quindi è e non può che essere quella dell’intero paese. Con il rispetto delle specificità certo, delle priorità, ancor più certo, ma sapendo incidere i nodi più difficili e non fingere soltanto di farlo passando superficialmente sulle cose.

L’occasione come più volte sottolineato dal capo dello Stato e dal presidente del Consiglio è quel piano nazionale di ripresa e resilienza di cui tutti parlano e a cui tutti guardano come ad una panacea, come un “arrivano i soldi”. In realtà esso con la connessa ripartizione delle risorse imponenti messe in campo è soprattutto una sfida alle nostre stesse capacità, alla nostra voglia di riavviare il paese e vederlo tornare al ruolo che troppi anni di tirare a campare o peggio a distruggere quello che si era fatto poco prima gli spetta nel consesso delle nazioni e degli organismi che guidano il futuro del mondo in una delicata fase di transizione non soltanto della pandemia, ma dell’intero quadro di riferimento economico, finanziario e degli equilibri globali che si stanno faticosamente affermando. Un mondo diverso da quello al quale eravamo abituati e dunque con la richiesta di risposte nuove che non siano la cancellazione e basta di quanto esiste, ma il suo superamento verso il miglioramento delle condizioni di tutti i popoli e le nazioni del nostro pianeta.

Ecco perché stupisce ed indigna che ogni giorno abbiamo da comparare l’obiettivo di cui si è detto e che viene portato avanti dal governo rebus sic stantibus e l’evidente freno che avvolge le forze politiche (meglio sarebbe definirle debolezze) con il privilegio di questo o quel settore, di questo e o quel problema, senza mai porsi il quadro di insieme. Ecco dove si annida il tarlo che rischia di compromettere o sminuire l’apporto che riceveremo. La sensazione è che anche i più accorti tra i leader politici del momento non riescano a volare alto, a guardare oltre il recinto del proprio ombelico politico, con il risultato di inseguire anziché di guidare il passaggio più difficile in atto, quello dell’inizio della nuova stagione. Perché di questo si tratta, della capacità di intravedere, di anticipare, di preparare le scelte non secondarie e in quale caso radicali che ci aspettano. Non è condividendo a parole i grandi temi o affermando di avere la propria visione del domani che si guida, occorre mettere le mani in pasta, sporcarsi le mani come si è detto con la difficile realtà nella quale si va ad operare.

Ecco perché va superata la sensazione o più di quella che ogni giorno le forze politiche debbono fare i conti con il piccolo cabotaggio, con gli interessi delle prossime elezioni locali, con quelle nazionali prossime, con l’elezione del nuovo inquilino del Colle. Tutti obiettivi legittimi ed auspicabili nell’esercizio democratico che deve contraddistinguere come dice la Costituzione la dialettica nazionale, ma che risulterebbero depotenziati e resi secondari se non si centra quello di insieme: la sostenibilità del sistema paese nella sua totalità.        

Ed è di questo che si tratta nel porre mano alle riforme strutturali da decenni in attesa, non è necessario spingersi solo nelle direzioni di parte, privilegiare le proprie visioni, ma condividere il quadro di insieme che richiede responsabilità e sguardo prospettico al dopo. Quello al quale stiamo assistendo appare invece come il consueto palleggiamento tra accuse e distinguo, tra chi deve stare dentro e chi deve stare fuori, come se il paese potesse essere salvato soltanto attraverso una parte di esso. E’ quell’essere di parte cui si riferisce il capo dello Stato, quel limite al quale fa riferimento il premier ed entrambi si richiamano all’interesse superiore quel sistema Paese che va rafforzato e messo in sicurezza nel suo insieme.

Quel che dobbiamo veder finire è la sensazione che si partecipi ad un governo di coalizione ampia per rimanere al riparo dei propri problemi, nella semplificazione delle ragioni per cui starci o meno. In gioco c’è l’intero paese come lo conosciamo e le riforme richieste a gran voce dagli italiani e dall’Europa sono in molti casi le stesse alle quali si pone mano senza volerle veramente risolvere una volta per tutte da troppo tempo. L’epoca degli alibi sta finendo per tutti ed è evidente che pensare solo in termini prospettici pensando a quando da soli si potranno gestire i fondi europei straordinari , senza il fardello della coalizione, è una visione miope e anche antitetica ai propri interessi. Quello al quale si vorrebbe assistere è il mettere da parte il proprio tornaconto immediato, mettere sul proscenio le proprie idee condividendole per quanto possibile con alleati ed avversari, pronti a qualche limitazione se necessario in nome dell’interesse generale.

La sensazione che si ha, ogni giorno che passa, è che questo comportamento virtuoso tardi a manifestarsi e più tardi arriverà peggio sarà per tutti. Sia per il rischio di non agganciare la ripresa vera sia per la necessità di non perdere il treno degli aiuti europei e delle riforme strutturali ad essi connesse. Il tempo è stretto, le occasioni chiare, speriamo di non dover commentare fallimenti o carenze!

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