recensioni libri

Il cerchio di Venere

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Marha Nunziata e Valerio Iafrate
Gruppo Albatros Il Filo, Collana: Nuove voci
2021
Pag. 232

I coniugi Martha Nunziata e Valerio Iafrate hanno di recente pubblicato Il Cerchio di Venere, un thriller ambientato in Roma tra mostre, ricevimenti, riunioni segrete.

È il dramma di una giovane donna italo-americana, giornalista presso un giornale di New York, la quale aveva scoperto di avere una sorella di dieci anni più grande, una madre che aveva abbandonato il primo marito per mettersi con suo padre e un padre che l’aveva lasciata crescere da sola a migliaia di chilometri di distanza perché era coinvolto in un intrigo internazionale.

Giunta a Roma alla morte del padre, si trova coinvolta in una setta (altrimenti detta loggia, ordine, società segreta) composta da una serie di personaggi malvagi, senza scrupoli, capaci di sacrificare chiunque per i loro obiettivi. Questa setta era formata, tra gli altri, da un ambasciatore francese, petrolieri di varie nazioni, signori del narcotraffico colombiano, scienziati cinesi, magnati russi e, dulcis in fundo, un corpulento cardinale dalla voce melliflua suadentemente ambigua, con l’orologio Richard Mille che spunta dalla manica della veste nera, riccamente decorata con bottoni di madreperla e la fascia sulla quale pende un Crocifisso d’oro massiccio tempestato da ametiste.

Gli adepti dell’organizzazione, trafficanti senza scrupoli, controllavano interi paesi, indirizzandone l’economia, corrompendo e scatenando guerre: il tutto solo per i loro profitti. Traffico di opere d’arte tra conti esteri cifrati, fondi neri di società che si nascondevano dietro scopi umanitari, ma che in realtà erano bellici, traffico di esseri umani, fondi per finanziare il terrorismo con i proventi della droga, dei reperti archeologici e molto altro.

Tutto si svolge tra maggio e novembre 2018 nell’ambiente della Roma ricca, tra persone che si definiscono élite, tra ricevimenti in ville con alte finestre sulle pareti affrescate con scene di caccia, dove banchieri e uomini politici, imprenditori e faccendieri si stringono la mano sorridenti tra bottiglie di Perrier Jouet Belle Époque.

Tra i vari personaggi della narrazione, oltre alla giornalista italo americana e i suddetti adepti della setta, figurano:

  • un commissario di polizia, amante della cucina romana autentica (bucatini alla amatriciana e vino rosso Cesanese del Piglio) spesso incline al vernacolo romanesco di Testaccio, dall’aspetto sciatto e trascurato, con un mezzo sigaro toscano spento tra i denti.
  • un agente italo americano della CIA, professore di storia dell’arte, uomo colto e affascinante, che ama frequentare ristoranti extra lusso: fiori di zucca e fagottelli, rivisitazione di un rinomato cuoco tedesco della pasta alla carbonara, accompagnati da rosé Billecart-Salmon e champagne Dom Perignon.
  • un maggiordomo di origine napoletana, che non riesce ancora a convertirsi al Nespresso e continua a usare la macchinetta, bravo a preparare spaghetti, aglio, olio e pummarorielli; secondo lui una pasta che cuoce in meno di dieci minuti non è di buona qualità, il segreto di un primo perfetto è che pasta e condimento siano pronti nello stesso momento.

In tale contesto ambientale, due cadaveri in pochi giorni, prima a Palazzo Brancaccio, poi a Piazza di Siena durante il concorso ippico, due omicidi tra loro collegati; inoltre, il mistero di due spille di brillanti che unite formano una chiave a forma di cerchio con al centro una figura stilizzata della Venere di Milo.

Il libro si chiude con una postfazione di Alessandro Meluzzi, psichiatra e saggista, il quale riferisce che il genere narrativo poliziesco nasce nell’Ottocento in Gran Bretagna, ma prende il nome di “giallo” solo in Italia negli anni 20 del Novecento. La crime store permette di capire le motivazioni inconsce che inducono un essere umano a trasgredire la legge o ascoltare la parte buia di se stesso, perché -in fondo- siamo tutti capaci di commettere un crimine.  

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