La vendita consiste nello scambio di cosa contro prezzo; la permuta nello scambio di cosa contro cosa.
Per esempio, se io ottengo un appartamento pagandolo una somma di danaro pongo in essere un contratto di compravendita. Se io invece ottengo un appartamento cedendo un mio appartamento o un mio terreno pongo in essere un contratto di permuta.
Ma prima che intervenisse la moneta e ogni scambio avveniva tra cosa e cosa, esisteva o meno la vendita?
Un acceso dibattito era sorto tra i giuristi dell’antica Roma (e tuttora prosegue tra gli studiosi del diritto romano) per affermare se in origine poteva dirsi sussistente l’istituto della compravendita ovvero ogni scambio rappresentava una permuta.
Per la risoluzione del problema si faceva riferimento ai poemi omerici: come soleva dirsi, si tirava Omero dalla tunica per sostenere l’una o l’altra tesi.
I brani in considerazione erano presi dall’Iliade e dall’Odissea.
Il canto VII dell’Iliade (versi 472-475) descrive un grande rifornimento di vino inviato ad Agamennone e a Menelao dal re di Lemno Euneo per ristorarli dalle fatiche della guerra. Data l’abbondanza del vino ricevuto i re fratelli, finito il banchetto, misero tutto il vino rimasto a disposizione degli Achei, i quali lo acquistarono scambiandolo con bronzo e ferro, ovvero con pelli bovine, con buoi, con schiavi.
Si discute quindi se lo scambio del vino con bronzo, pelli, schiavi avesse rappresentato una permuta o una compravendita.
Tra i traduttori dell’Iliade, Vincenzo Monti riporta così il brano dell’Iliade:
Del vino che recato avean di Lenno
Molti navigli; e li spediva Eunéo
D’Issipile figliuolo e di Giasone.
Mille sestieri in amichevol dono
Eunéo ne manda ad ambedue gli Atridi;
Compra il resto l’armata, altri con bronzo,
Altri con lame di lucente ferro;
Qual con pelli bovine, e qual col corpo
Del bue medesmo, o di robusto schiavo.
Altro traduttore, Daniele Bello, così riporta il brano:
Erano là a riva molte navi, venivano da Lemno
cariche di vino. Le inviava Euneo figlio di Giasone,
generato da Ipsipile a Giasone pastore di popoli.
A parte, per gli Atridi Agamennone e Menelao
il Giasonide aveva mandato mille misure di vino.
Di qui si rifornivano gli Achei dalle chiome fluenti,
barattando gli uni bronzo e gli altri lucido ferro;
altri barattavano pelli di bue, altri i buoi
e altri ancora gli schiavi. Preparavano così un pasto abbondante.
Quindi per Monti lo scambio era una compravendita, per Bello era un baratto (sinonimo di permuta).
I giuristi romani facevano riferimento anche ad un brano dell’Odissea (Canto I versi 430- 431), dove si descrive Telemaco accompagnato da Euriclea, la schiava che il nonno, Laerte, aveva acquistato con venti buoi. Quindi in questo caso Omero ha definito come vendita il trasferimento di una cosa con controprestazione in beni.
Così è tradotto il brano:
Ed
alla stanza sua, per la reggia, Telemaco mosse,
ch’alta sorgeva, ed era visibil da tutte le parti.
Qui per dormire giunse, da molti pensieri agitato.
E seco andava insieme, recando le faci, Euriclèa,
d’Opo, figliuol di Pisènore, figlia, di mente assennata,
che un dí comprata aveva Laerte, sborsando gran somma,
ch’era fanciulla ancora: ne diede ben venti giovenchi,
e al pari l’onorò d’una moglie; però nel suo letto
mai non entrò: ché schivò della sposa le furie gelose.
Si discute quindi se compravendita e permuta ai tempi di Omero erano termini equivalenti, in quanto, non esistendo ancora il danaro, ogni scambio avveniva tra beni e quindi la permuta rappresenta la forma più antica di compravendita.
Se noi consideriamo la traduzione letterale del testo dell’Iliade, osserviamo come Omero per lo scambio del vino usa il termine “oinizonto” che significa “si procurarono vino”, per cui il verbo “procurare” può fare riferimento sia alla vendita che alla permuta.
Ma nel brano dell’Odissea Omero usa il termine “priamai”, che significa precisamente “acquistare” e definisce il corrispettivo “gran somma”.
Se consultiamo un vocabolario di greco antico riscontriamo che la vendita è detta πρᾶσις διάπρασις (prasis, diaprasis) mentre la permuta è detta διάμειψις ἀντίδοσις (diamepsis, antidosis).
Quindi nel greco antico permuta e vendita non erano la stessa cosa, per cui il prezzo, non esistendo ancora la moneta (che fu introdotta per la prima volta nel VI sec. a.C. da Creso e dalla Lidia), cioè la somma data in corrispettivo, doveva necessariamente consistere in un bene.
E allora quando si ha vendita e quando si ha permuta?
Facendo riferimento ai brani di Omero possiamo dire che si ha permuta quando si scambia una pluralità di beni con altra pluralità di beni: nel brano dell’Iliade Agamennone e Menelao scambiavano litri di vino con altrettanta quantità di bronzo, pelli o altro.
Si ha invece compravendita quando si scambia un unico bene con una pluralità di beni: nel brano dell’Odissea la giovane Euriclea venne scambiata con venti buoi, analogamente a quanto avviene ancor oggi in Nord Africa allorché si acquista una donna con cammelli (cinque cammelli per una donna mora e prosperosa, anche sette per una bionda dalle origini scandinave).
Oggi, come allora, non si può dire che l’acquisto di una donna dietro corrispettivo di una quantità di animali sia una permuta; ecco perché Omero per lo scambio narrato nell’Iliade usa un verbo (che tradotto vuol dire procurarsi) mentre per lo scambio narrato nell’Odissea usa altro verbo (che tradotto vuol dire comprare).
Può quindi concludersi che, già prima dell’intervento della moneta, si distingueva tra vendita e permuta, distinzione che diventò più netta con l’introduzione di un oggetto di scambio convenzionale.