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Interesse nazionale e interessi di bottega

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Il rebus che la quotidianità politica non sembra (o non vuole) sciogliere.

Ci risiamo. Come ogni settimana cerchiamo di cogliere qualcosa di nuovo, si spera di positivo, dalla scena politica e governativa, mentre siamo ancora in una situazione di sostanziale difficoltà nei confronti della pandemia che con le sue varianti rende più difficile avere una vittoria sul virus e più complessa la campagna vaccinale. Se guardiamo un’istantanea dell’anno passato di questi tempi abbiamo due sensazioni: la prima positiva è che in qualche modo stiamo cominciando a convivere con il virus e la sua diffusione e che l’avvenuta vaccinazione di oltre il 60 per cento dei connazionali (sia pure con lacune sia di età, sia di fasce più o meno esposte) stia iniziando a dare sia pure con lentezza il suo valore positivo. Purtroppo, a questo corrisponde un maggior impegno sanitario nei confronti di quanti non hanno ritenuto o non hanno potuto ancora fare la profilassi.

La seconda impressione è in qualche modo legata alla prima: la classe politica sembra non aver capito che il momento non è quello della filosofia o dell’apodittica posizione a favore o contro il vaccino. Questa potrebbe aversi in ipotesi soltanto se avessimo una morbilità bassa o nulla e se le prognosi di molti ricoverati fossero positive e comunque benigne. Il dato di fatto, quotidianamente registrato, ci dice invece che ogni giorno sono diverse migliaia i contagiati e che se analizziamo tale dato ci accorgiamo che esso corrisponde spesso all’allentamento se non all’incoscienza di chi non usa alcun accorgimento e torna ad incontrarsi e a mischiarsi come se il virus non ci fosse. Va inoltre ricordato che anche senza il virus, le calche eccessive, la promiscuità e via dicendo hanno sempre avuto come risultato alcuni picchi infettivi di varia natura. Il covid 19 dunque non ha fatto altro che seguire questo trend.

Che cosa occorre, dunque? Che le polemiche non si rivolgano ai sacrosanti diritti umani e di libertà personale e che non si assista al balletto insensato sul “green pass” che non è uno stigma, ma un modo per riuscire a rendere meno rischioso il contatto tra le persone che nessuno pensa di limitare se non in condizioni di pericolo come quelle che abbiamo vissuto proprio un anno fa. I paradisi delle vacanze si stanno mostrando quali incubatori del virus laddove le misure di sicurezza non vengono adottate in modo evidente ed anzi vengono aggirate quasi in una sfida illogica e autolesionista. La risposta del virus è evidente e chiara, nella sua ineluttabilità. Lasciamo in evidenza, ma da un lato, questo aspetto peraltro ormai connaturato al nostro vivere, e occupiamoci del resto per così dire. Sembra che scoppiata la febbre della vacanza il paese si sia dimenticato della fase delicatissima nella quale ci stiamo dibattendo. Di essa si occupano per così dire gli addetti ai lavori come se fosse possibile distinguere tra questi e l’intera cittadinanza che in un modo o nell’altro verrà toccata da quanto ci attende sia in positivo sia in negativo.

E qui, di nuovo, misuriamo un intatto vuoto tra l’azione del governo in attuazione del PNRR, con l’arrivo della prima trance di quasi 25 miliardi di euro degli aiuti dell’Europa (investimenti con restituzione in molti casi in futuro) e la necessità di far funzionare e subito la macchina dello stato per farne tesoro e non disperderli pena il non accesso ai prossimi sostegni economici, e lo stato dei partiti e dei movimenti che in Parlamento dovrebbero agire per favorire e migliorare il quadro. Qui si apre la pagina forse più triste di questo non certo felice periodo della nostra vita da cittadini italiani e mondiali: tutti si dicono d’accordo sulla necessità di investire subito, in modo chiaro e rapido, di sbloccare il paese in quelle aree dove esso è fermo da decenni, ma nella pratica si sta giocando spesso una partita di posizione, locale e nazionale con l’occhio del tutto altrove da questi temi e centrato sulle prossime scadenze amministrative locali, sui canditati, sulle possibili alleanze e/o apparentamenti, su come far scattare con le liste più varie quorum e quozienti e via raccontando uno scenario sin troppo conosciuto. Solo che quello che non è possibile definire conosciuto è il quadro nel quale ci muoviamo e che i recenti avvenimenti internazionali (come in Afghanistan) non sembrano affatto chiarire e semplificare.

Eppure, si ha la netta sensazione del grande cabotaggio necessario al governo per portare avanti il gigantesco piano di ripresa e resilienza approntato e il piccolo cabotaggio della politica nazionale e locale che sembra incapace di occuparsi della più grande occasione di sostegno allo sviluppo del paese degli ultimi decenni con organicità e con saggia gestione. L’unica impressione che appare è quella legata alle consuete diatribe sui migranti, a temi sempre importanti ma che forse nella situazione attuale vanno visti in progress e non per farne bottino immediato.

L’interesse nazionale, quello per capirsi che vuole vedere le prossime stagioni come un valore che spinga la nazione e la sua economia fuori da una stagnazione inaccettabile e miope, chiede decisioni chiare, poche polemiche pretestuose e molti fatti. Perché un’economia forte è presidio sicuro anche per i diritti delle persone, per il lavoro, per l’accoglienza e ne rende più facile il conseguimento.

L’interesse di bottega vede invece il tornaconto immediato, di qui a qualche mese, senza alcuna visione di insieme ed anzi pervicacemente radicato nel locale anche oltre la decenza. Il rischio che prevalga questa seconda posizione è ad ogni angolo e i referenti nazionali e locali della politica poco fanno per dissipare queste nubi anzi in esse si crogiolano senza rendersi conto che così il paese continua a vivere in una sorta di scissione mentale tra quel che si vorrebbe che fosse e quel che riesce ad essere nella realtà: un quadro poco confortante, comunque!

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