Inevitabili complicazioni politiche rischiano di vanificare o annacquare le riforme
Cosa è più facile, guardare la pagliuzza nell’occhio altrui o vedere la trave che occupa il proprio. Un richiamo sui generis alle parole evangeliche che ci porta subito in medias res: l’attitudine che scorgiamo privilegiare è sempre quella di vedere la pagliuzza e far finta di non avere la trave. E questo sia detto come premessa senza dare il valore oggettivo alle cose. La pagliuzza potrebbe cioè manifestare interesse elevato rispetto a quello della trave. Tuttavia, quello che ci interessa di più è guardare alle cose che ci interessano come analisi della nostra quotidianità politica e sociale e cercare di capire se si perde tempo con questa sorta di distopia ottica per così dire!
Come sempre dobbiamo partire dalla realtà e in essa scorgiamo soprattutto immutati i due piani: il governo che cerca di portare avanti il crono programma concordato con il Parlamento e con l’Europa; che come ricordiamo spesso ha delle sue specifiche condizionalità delle quali si deve tenere conto; dall’altro, la politica alla ricerca ancora di un equilibrio che appare lontano e confuso, la cui instabilità costituisce oggettivo rischio e condizionamento potenziale dell’azione dell’esecutivo.
Troppi sono i problemi ai quali si vorrebbe dare soluzione, troppi i legacci con vicende del passato che non passa e del presente che non procede sulla sua unica direttrice, cioè vero il futuro. In questa sorta di palude abbiamo la precisa sensazione che speriamo venga smentita che ogni atto, ogni volontà di risolvere venga annacquata o indebolita. Il pericolo immanente è quello di avviare progetti risolutivi delle mille difficoltà nelle quali il paese si dibatte e trovarsi poi inermi nel momento più importante di questo processo.
La politica è la pietra di paragone di questo momento alla quale come alle istituzioni parlamentari il governo deve rivolgersi perché la potenza dei provvedimenti possa divenire atto concreto, incisivo e risolutivo dei problemi sul tappeto. Solo questo circolo virtuoso può permetterci di guardare al domani con maggiore chiarezza e qualche volta anche con una dose di ottimismo.
Se analizziamo però il quadro politico ci sovviene subito la famosa frase del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: che tutto cambi perché nulla cambi. E la sensazione di fronte a quello che il quadro ci fornisce è defatigante se non deludente. La sensazione è che si privilegino sempre questioni anche importanti ma di scenario e di contorno e non si aggredisca invece con determinazione il problema. Si ha l’impressione che le forze politiche si dilettino a pensare come identificare il proprio ruolo, la propria natura non per intrinseche virtù, tradizioni storiche se esistenti, percorsi personali e di gruppo, ma sempre e comunque polemizzando ed anzi approfittando di stupidità, defaillance, faciloneria dell’altro. Il grave è che questo diviene preponderante e impedisce di comprendere che cosa questa o quella forza politica voglia realmente, quale sia il suo disegno per il paese e quali le strade che voglia indicare e sottoporre agli italiani.
Il più grave segnale in questo senso è quello che viene dal Pd, ormai mosaico incoerente di un mondo che non trova la propria strada. Ad ogni passo vengono riproposti diktat, aut aut, ostracismi basati su principi che dovrebbero essere patrimonio comune del paese e occuparsi dei quali non dovrebbe essere compito di una sorta di politburo in servizio permanente effettivo, ma al più di tribunali o di giurì.
Tempo perso e soprattutto che fa perdere di vista il nodo più grande: l’assenza evidente di un partito progressista equilibrato e coerente sta nuocendo al paese avendo come contraltare un altro mosaico meno incoerente ma tutt’altro che coeso e chiaro sul versante del centro destra. La vecchia analisi politica che indica nel centro il luogo nel quale si governa manifesta la sua attualità ogni giorno. E’ evidente che la assenza fisica di un centro equilibratore abbia spinto verso le estremità politiche il resto delle storie politiche e questo comporti una sostanziale non alternanza (malgrado le parole in tal senso), ma una reciproca visione che “quando saremo al governo ……” come a dire demoliremo ogni cosa fatta in precedenza, dimenticando quanto nel cammino parlamentare e sociale si è fatto perché certe idee e certi principi non venissero dimenticati e quindi negando in certo senso anche il proprio contributo.
Un quadro desolante nel quale sembrano perdersi anche intelligenze politiche di primo piano, incapaci di parlare senza slogan, di inventare slogan senza senso compiuto, di chiamare solo alla condanna e non alla costruzione di qualcosa che possa aiutare un equilibrio condiviso. Persino nella stagione del terrorismo di ogni colore, il paese seppe trovare un comune ambito di azione. Ora bisogna sottolineare che quel patrimonio non può essere dimenticato e ancor più non deve essere strumentalizzato per finalità di parte. La storia ci dice che l’estremismo ha come conseguenza quasi logica il frazionismo, alla ricerca di come essere più estremisti di chi estremista si dice e si comporta come tale. Una iattura contro la quale esiste soltanto una soluzione: ogni eccesso deve trovare la propria conclusione contro un muro! Nel senso che deve esserne dimostrata la sua inutilità e la sua dannosità nei confronti della società che non deve essere ritardata e bloccata solo da niet reciproci, diffidenze ed ogni altro armamentario “idiota” (in senso tecnico letterale) che la prassi possa portare con sé!