La multiforme galassia di coloro che si oppongono ad ogni cosa
I grandi momenti che la Repubblica ha attraversato sono stati segnati da una grande condivisione popolare, solo antidoto all’odio, al rancore, ad ogni forma di discriminazione, di ostracismo e simili. Nelle fasi più difficili come quella della lotta al terrorismo questa condivisione ha prodotto e lasciato dei residui ai lati del vivere civile, una volta per così dire “vinta” la battaglia principale. Questi residui sempre presenti sono all’origine di molti rigurgiti ai quali assistiamo nella società. Siamo di fronte ad un humus fatto di facili parole d’ordine, di odio strutturato contro qualcuno, ad una vera e propria forma di antagonismo sociale che non ha deposto e difficilmente deporrà le proprie armi. Queste sono fatte di parole, di gesti eclatanti, ma anche di una sottile forma di indottrinamento che parte dal presupposto che condividere una posizione regali loro la rappresentanza di una protesta.
Quello che accade intorno a noi, pensiamo alla questione vaccinazione, al connesso uso del green pass sta mostrando chiaramente questo “melting pot” fatto di antagonismo e di contrarietà ad ogni cosa. Si uniscono cioè tutte quelle forme contro che serpeggiano da tempo sonnacchiosamente. Come in un tripudio di “no” a priori, di chiusura, di duro atto di accusa in cui c’è sempre qualche entità che governa misteriosamente quale grande fratello ed è dunque il nemico al quale occorre opporsi. Tutti i movimenti “no-qualcosa” da originarie posizioni dialettiche tendono tutti a trasformarsi in vere e proprie forme di settarismo antagonista. Non esiste in questo differenza tra destra e sinistra, con buona pace di alcuni benpensanti che vorrebbero una facile lettura degli avvenimenti.
Non esiste nel nostro paese, da decenni, forse non è mai esistito, il concetto che tra antagonisti è necessario dialogare, trovare delle vie condivise pur partendo da posizioni a volte antitetiche, comunque poco vicine. C’è invece inveterata e assai poco lungimirante la continua ricerca della divisione, della contrapposizione fine a sé stessa, per mantenere le posizioni e non misurarsi mai realmente. E questo nonostante lentamente ma in modo continuo il paese abbia compiuto dei passi in avanti. Ma sembra che per costoro valga più ciò che impedisce piuttosto che quello che consente. È una concezione preconcetta che si alimenta nel tempo con campagne di varia natura ma la cui sostanziale caratteristica di base è quella di non permettere in nessun modo che si possa addivenire ad un’intesa, ad un accordo ragionevole. Si può soltanto aderire e lavorare solo a impedire, bloccare, rinviare, ostacolare comunque. Una volta sono i padroni delle ferriere, una volta sono i detentori del potere in qualche ambito sociale, una volta sono i partiti politici, le forze varie e i movimenti politici e sociali. Sempre ci si muove su terreni che non possono essere conciliabili. Basti a mo’ di esempio la questione energetica. Usciti dal nucleare con il referendum (va sempre ricordato che il voto si basava su una moratoria dei nuovi impianti, che poi sotto la pressione “popolare” è divenuta uno status quo, la discussione si protrae da decenni su quali strade imboccare per consentire se non la neutralità energetica, l’autonomia nazionale, almeno una interdipendenza equilibrata e dai costi accessibili.
Bene non è una scoperta che i cittadini italiani pagano il conto in bolletta più alto di tutta l’Europa o quasi, che la dipendenza dalle forniture esterne sia preponderante e non più sostituibile se non nei tempi lunghi e che l’adozione di qualsiasi fonte alternativa abbia i suoi valori ma anche i suoi limiti fatti anche dall’orografia del paese e tante altre condizioni. In sostanza, nessuno è mai riuscito a far decidere una strada o l’altra e si è imboccata quella di un mix che oggi vira più velocemente sul fronte rinnovabili per abbandonare l’era dei combustibili fossili, ma il cammino è non solo lungo ma anche accidentato. Con il non proprio facile corollario che comunque la nostra dipendenza dall’estero rimane pressoché preponderante.
Un esempio per tutti ma che possiamo riportare in tutti gli altri settori. Vogliamo un paese che dal punto di vista ambientale sia sempre più green (ottimo auspicio) ma non vogliamo rinunciare come riflesso condizionato a quella industria pesante che fa i numeri dell’occupazione e che è soprattutto energivora proprio in direzione non coincidente con le politiche ambientali. Intanto il paese perde cervelli e competenze in settori strategici e che il passare degli anni rende sempre meno recuperabili.
La forma in cui quelle spinte estremiste appaiono sempre più evidente, in queste stagioni, è però quella che oggi si può sintetizzare come battaglia contro la pandemia, la prima in assoluto così pervasiva negli ultimi decenni dopo quelli della ricostruzione e dall’inizio del secolo scorso segnata dalla vaccinazione obbligatoria contro autentici flagelli. Il risultato di quella scelta è sotto gli occhi di tutti e ogni giorno dà evidenti segnali nelle parti più povere del mondo dove alcune forma di profilassi anche vaccinica hanno diminuito l’incidenza di morbi una volta causa di stragi vere e proprie.
Oggi, però, il concetto di vaccino non va di moda per inevitabili casi avversi nella somministrazione che tuttavia sono simili a quelli che accadono anche prendendo analgesici normali, ovviamente su base statistica. La rivolta antiscientifica è ormai appannaggio di frange estremiste di ogni colore o senza di esso. La invasività del messaggio fa perno su ogni più trita forma di complottismo o di piani di controllo del mondo da parte di entità, forse aliene, che ci controllano e dai servi uomini piegati a queste logiche.
Appare evidente che di fronte a questo argomentare non è facile dialogare perché come dimostrano gli ultimi avvenimenti con pubblicazioni di indirizzi e di telefoni di ricercatori, virologi e personale sanitario, con l’aggiunta di minacce tipo quelle brigatiste “colpiscine uno per educarne cento”, per intendersi, con accuse e minacce nei confronti di politici ed amministratori vi sia ben poco di politico da argomentare e come inevitabilmente si scivoli verso forme di terrorismo prima verbale, poi chissà! L’esperienza dimostra che questi fenomeni prima nascono con clamore, poi si estendono e divengono pervasivi e poi rischiano di trasformarsi in qualcosa di altro, molto più pericoloso.
Siamo il paese dove tutti sono primi ministri, ministri, sottosegretari, esperti di ogni genere, scienziati della porta accanto, costruttori di ogni genere, leader politici di sé stessi, ovviamente allenatori di squadre e via discorrendo. In questo ambito il sentiment della contrarietà è insito nel nostro dna, ed in assenza di una vera mediazione sociale e politica autorevole il rischio più grosso e il trasformarsi in una guerra per bande dove in nome di malintesi principi di libertà, si vogliono imporre i propri modelli ad onta proprio di quel popolo che si vuole “difendere”. Siamo il paese del no tav, del no triv, del no tap, delle corse alla moda verso l’elettrico, il green, le due ruote a tutti costi e senza responsabilità mentre auto, mezzi pesanti e moto rischiano di provocare senza colpa autentici danni. Siamo il paese che vuole vivere come disse una sciagurata uscita una decrescita felice che senza raziocinio può trasformarsi in una decrescita imbecille.
L’ondata di “no-qualcosa” sta assumendo connotati irrazionali e ridicoli e tenta di porsi come alternativa agli stessi processi democratici che il paese deve avere. Minacciare blocchi di stazioni e autostrade se qualcuno chiederà il green pass ad esempio è manifestazione di intolleranza e di violenza a chi la pensa diversamente e non esercizio di libertà.
La prevalenza del “no-tutto”, a priori, è un grave rischio per la stabilità democratica del paese. È ora che si superi il relativismo che accompagnò ad esempio quelli che venivano definiti, bonariamente, “compagni che sbagliano” di qualsiasi colore siano, che i pubblici poteri si facciano carico del pericolo e che esso non venga sottovalutato! Per il bene del paese e del suo sistema democratico!