L’ostracismo sulla Messa tridentina (Seconda parte. Segue l’articolo pubblicato l’8 settembre ‘21)
Parole dure e non soggette ad alcuna interpretazione, quelle che abbiamo letto nella prima parte del nostro articolo, in merito alla Bolla pontificia di San Pio V che avverte tutti coloro che vorranno cambiarla “che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo”.
Ma ciò non avvenne, nonostante sia stata emanata come forma dogmatica che non lascia certo dubbi sulla sua ortodossia, mentre sulla Messa riformata non mancarono certo le critiche anche su aspetti liturgici che potevano essere considerati eresie come nel famoso ‘Breve esame critico’1 sul nuovo rito dai cardinali Ottaviani e Bacci o dal teologo domenicano padre Calmel2 che scrisse un libro con il titolo assai esplicativo ‘Riparazione pubblica al Canone Romano oltraggiato’ pochi anni prima di morire nel 1975.
Potremo continuare con molte e significative posizioni prese da figure tutt’altro che tradizionaliste o marginali, sulla continuità assai dubbia del Messale Romano, come espressione della tradizione cattolica di sempre, nel messale di Paolo VI.
Se questo era l’atteggiamento di molti prelati cattolici di condanna del Novus Ordo, differente era la posizione dei protestanti dove alcuni di loro avevano addirittura direttamente contribuito alla sua stesura.
Famosa è la foto di Paolo VI attorniato da questi protestanti per ringraziarli del contributo che avevano dato alla Chiesa cattolica.
Insomma, i cattolici dovevano imparare da coloro che fideisticamente dovevano combattere.
Per questo motivo molte parti della Messa furono denunciate come ambigue.
Se qualcuno nutriva dei dubbi sulla validità della nuova Messa nell’alveo cattolico, il Concistorio Superiore della Chiesa luterana l’8 dicembre del 1973 confermò questi dubbi, dichiarando che “Essendo state le forme attuali della celebrazione eucaristica nella Chiesa cattolica e la ragione delle convergenze teologiche presenti, molti ostacoli che avrebbero potuto impedire a un protestante di partecipare alla sua celebrazione eucaristica, sono in via di estinzione”.
Abbiamo addirittura un articolo pubblicato niente meno che dall’Osservatore Romano il 13 ottobre del 1967, durante i lavori per la stesura della nuova Messa che afferma senza vergogna, aggiungiamo noi:” La riforma liturgica ha fatto un notevole passo avanti e si è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa luterana”.
Ma non basta: le affermazioni di questo tipo sono molte.
Ad esempio scrive su Le Monde il 10 settembre del 1970 il teologo protestante Roger Mehl: “Non vi è più alcuna giustificazione per le chiese riformate di proibire ai loro membri di assistere all’eucarestia in una chiesa cattolica”.
Lo stesso affermò quell’anno il vescovo anglicano James Morgan “Leggendo lo schema della liturgia e ascoltando il dibattito su di esso non potevo non pensare che se il messale cattolico viene migliorato (sic) allora potrà sembrare the book of Common Prayer, di noi anglicani”.
Davanti agli occhi abbiamo almeno un’altra decina di interventi di questo tono da parte protestante che lasciano dubbi non da poco sulla vera essenza di questa nuova liturgia di Paolo VI.
Di fronte a questi problemi, si pone allora una domanda assai delicata; l’antico Messale tridentino promulgato da san Pio V con tutti i crismi di un atto dogmatico essendo ogni parte del testo corrispondente totalmente alla dottrina cattolica di sempre e dove non sussiste alcuna, non dico eresia, ma un semplice errore formale, il cui valore spirituale, solennemente ribadito da tutti i papi per 400 anni, può essere abolito da un altro Papa?
Come è facile comprendere, il quesito non è semplice perché coinvolge l’autorità e il potere papale.
Se il pontefice è il custode e il garante della liturgia e dei dogmi, come recita la prassi cattolica, non ne è certo il padrone, tanto che il Codice di Diritto Canonico afferma che il pontefice, nonostante il suo ruolo di Supremo Pastore della Chiesa, “non ha il diritto di abolire il rito tradizionale”; insomma anche al Papa sono posti dei limiti.
Già canonisti del livello del Tommaso del Vio3 (detto il Gaetano) o Francesco Suarez4, del XV e del XVI secolo, insieme a molti altri nei secoli a venire, affermavano chiaramente chenon rientra nei poteri del Papa l’abolizione di un Rito tradizionale e né tanto meno distruggere un Rito di Memoria apostolica, come quello tridentino, ma semmai mantenerlo vivo e tramandarlo.
La conclusione logica che ne segue di fatto è che il Rito Romano composto nel messale di san Pio V, non è né abrogato, come confermò Benedetto XVI e né tanto meno abrogabile, inoltre, insieme alla Bolla di approvazione di san Pio V si apprende che ogni sacerdote conservi intatto nei secoli il diritto di celebrare la Messa e i fedeli di assistervi, a meno che non si intraveda in questa formula liturgica una qualche eresia, ma questo è impossibile.
San Pio V stabilì inoltre per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum, ma a differenza di quello di Paolo VI, non ci furono stravolgimenti, ma fu solo ripristinato, in ubbidienza ai decreti tridentini, per essere strumento di unità per ogni cattolicoe non come si fa passare oggi perché più nuovo, ma semmai perché più antico.
Il Papa lasciò anche la libertà di celebrare quei riti che avessero una antichità riconosciuta di almeno duecento anni come, ad esempio, la Messa di rito ambrosiano, certosino, domenicano e altri rituali cattolici, anche di rito orientale.
Nel motu proprio, papa Francesco afferma dunque, contravvenendo alla tradizione della Chiesa appena citata, che solo il messale di Paolo VI può essere fonte di unità nonostante una quantità di problemi che ha creato in questi cinquant’anni che sono sotto gli occhi di tutti i fedeli, avviando una creatività ed una diversità che lascia perplessi, tanto da avviare la fuga dalle chiese insieme a sacerdoti e religiosi dei vari ordini da conventi e monasteri.
Non sappiamo cosa riserva il futuro alla nostra Chiesa ricordiamo, in conclusione il pensiero di san Pio X “il futuro della Chiesa è nella sua tradizione”.
NOTE
1 Il Breve esame critico del Novus Ordo Missae conosciuto anche come Intervento Ottaviani, è un saggio in otto capitoli scritto con il card. Nel 1969 prima della promulgazione che esprimeva una forte critica nei confronti della riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II specialmente per quanto riguardava la celebrazione della Messa.
2 Il 27 novembre 1969, tre giorni prima dell’entrata in vigore del Novus Ordo Missae, il domenicano p. Calmel (1914-1975) manifestò il fermo suo rifiuto. È forse stato il primo sacerdote – se si eccettuano i Card. Bacci e Ottaviani – ad aver manifestato in pubblico un netto rifiuto, non soltanto dottrinale, ma anche pratico della nuova messa. La sua storica reazione illuminò ed incoraggiò molti sacerdoti e fedeli suoi contemporanei.
3 Tommaso del Vio, detto il Gaetano perché nacque nella città laziale il 10 agosto del 1469 e morì a Roma il10 agosto del 1534. Fu generale dell’ordine dei domenicani, teologo e diplomatico vaticano
4 Francesco Suarez, gesuita, nacque a Granada il 5 gennaio del 1548 e morì a Lisbona il 25 settembre del 1617. Fu teologo, filosofo e giurista spagnolo. È considerato il maggiore esponente della scolastica barocca.