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La responsabilità di decidere

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Le riforme non possono essere ininfluenti ma incisive e di sviluppo

La realtà politica italiana, che ogni settimana ci affanniamo a cercare di comprendere, presenta via via delle variazioni anche impercettibili, ma importanti. Una di queste, alla quale stiamo assistendo, riguarda il governo Draghi. Meglio ancora il modo nel quale il presidente del Consiglio vede questo alto incarico e le sue caratteristiche. Nella sua presenza di nove anni alla guida della Banca centrale europea si è visto in un certo senso il tipo di approccio ai problemi e alle diverse posizioni e nel tempo si è capito che quel pacato affrontare anche le fasi più delicate e difficili non ha mai significato piegarsi a logiche partigiane. Ma perseguire il valore fondante dell’impegno da esercitare: salvare con le istituzioni finanziarie comuni, ogni paese in difficoltà e tutta l’Unione.

Chi governa si sa è sempre oggetto di critiche anche feroci, di attacchi, di tentativi di varia natura che vanno dal condizionamento alla caduta dell’esecutivo. Su questo in Italia potrebbe essere scritta un’intera enciclopedia, con continui aggiornamenti, peraltro!

In questi giorni, oltre all’impegno suo e degli altri componenti la compagine, il premier ha partecipato a diverse iniziative portando a gruppi sociali, imprenditoriali e via dicendo il senso del modo di vedere che applica al suo lavoro. Rifacendosi ad una sua espressione molto concisa ma chiarissima, Draghi ha osservato in sostanza che  governare non può voler dire fare tutti contenti, ma decidere!

Se non fossimo nel paese delle cento città, che diede vita all’Italia comunale, a quello che venne definito campanilismo, qualche perplessità verrebbe. Normalmente infatti la volontà generale deve trovare nel governo una sintesi positiva, dove però possono essere messi in pratica atti che non vanno a favore di qualcuno o che incidono su un settore e non su altri. Ovviamente questo deriva da quel che si vuole fare per questo o quel problema. E di questi problemi in Italia siamo pieni, sono all’inverosimile.

Ora la apparente semplicità – quasi ovvietà, potremmo dire – delle parole usate dal presidente si manifesta come un autentico programma nel programma. Decidere e in questo non favorire qualcuno ma cercare una sintesi più alta, sta in nuce una vera e propria rivoluzione politica e di gestione della cosa pubblica. Inevitabile che da ogni parte del Paese, da ogni categoria, da ogni forza politica, questo venga vissuto come qualcosa di alieno, di forzatura per così dire dell’andazzo contrario, dove governare vuole sempre dire ed ha sempre detto, mediare, comporre, non scontentare nessuno.

Ecco il valore rivoluzionario, quello contro il quale ci si sta già organizzando, pur riconoscendo il coraggio e la incisività, oltre al carattere pragmatico, che manifesta l’azione del governo e di chi ne ha la responsabilità primaria, soprattutto.

Decidere vuol anche dire incidere sui nodi strutturali del nostro paese, in quei territori, non  solo geografici, dove da sempre si cerca di modificare tutto a parole ma di non modificare nulla nella sostanza, per mantenere la funzione della politica come è sempre stata. E’ qualcosa, quello che stiamo analizzando che paradossalmente mostra la sua natura nell’ambito locale, più che in quello nazionale. Che spiega i suoi tentacoli dove meno ci si aspetta. Esiste nell’immaginario di qualche decennio fa un ufficio definito “Ucas”, ovvero ufficio complicazione affari semplici. Un luogo di grandissima attività, di diuturno impegno, dove si immagina una sola cosa e per questo forse la sua azione è tuttora immanente: rallentare, bloccare, temperare e nei casi più gravi far fallire.

La pletora di leggi, regolamenti nei quali si articola il sistema del paese ne è immediata e concreta manifestazione. Il proliferare di regolamenti attuativi senza i quali la legge può rimanere lettera morta o solo un simpatico esercizio dialettico, è una delle armi più rodate. Dopo un faticoso ed articolato cammino parlamentare il testo di una legge viene approvato, dopo di ché occorre il famoso regolamento. Dunque al tempo passato per arrivare all’approvazione, si aggiunge quello, non preventivabile, della produzione dei regolamenti attuativi e degli interventi necessari al centro e in periferia perché l’impianto finale possa dispiegare i suoi effetti.

Paradosso dei paradossi, esistono leggi già operanti i cui regolamenti sono stati prodotti, ma la cui effettiva vigenza può essere condizionata dall’esistenza di norme precedenti o successive che necessariamente rimandano ad un dopo dove occorre intervenire. Non capiti poi che una legge debba interagire con un’altra o coordinarsi. In questo caso la complessità rischia di divenire insormontabile. Ma quel che spaventa è che ogni tentativo di semplificare il quadro, impegno sul quale si sono misurati quasi tutti i governi del dopoguerra, mostra il pericolo immediato di creare una serie di complicazioni per risolvere le quali occorrono intrecci tra giurisprudenza e tecnica amministrativa. Risultato: spesso si procede per decreti per far funzionare il buono di un testo legislativo in vista poi della normalizzazione e composizione con il resto del sistema.

Nessun commento potrebbe essere sufficiente per esprimere la sensazione sconcertante e sconfortante che emerge da quel che abbiamo descritto.

Ecco perché: governare vuol dire decidere sapendo che non tutti potrebbero essere contenti, costituisce una vera svolta! Speriamo che almeno una piccola svolta sia possibile, per il bene del Paese. Cominciare è già un buon passo da fare e  questa sembra la strada.

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