A causa del carbonio, i cambiamenti climatici stanno uccidendo il Pianeta
Molti non sanno che tre cittadini statunitensi, il sign. Smith, la signora Johnson e il sign. Brown, (ovviamente nomi fittizi), sono tre “killer “inconsapevoli a piede libero. Di cosa sono incolpati i tre?
È presto detto.
Durante l’arco della vita, i loro consumi tra le emissioni di carbonio, l’uso di elettrodomestici, dell’auto, delle varie attività quotidiane e dello stesso impegno lavorativo, tutto questo insomma provoca niente meno che la morte di una persona.
Se, dunque, i tre “killer” possono provocare la morte di una persona nel corso di una vita, diciamo di 70/80 anni, una singola centrale elettrica, ovviamente a carbone, peggio ancora. Una centrale a carbone nella sua vita industriale di vittime ne può provocare almeno 900.
In realtà, i tre, anche se non lo sanno, insieme alla centrale elettrica, sono al centro di uno studio molto dettagliato sui cambiamenti climatici dovuti all’uso del carbonio, tanto che se entro il 2050 non si azzereranno i suoi valori, il Pianeta sarà praticamente invivibile. (Sono accettati i dovuti scongiuri. Ndr)
Queste notizie catastrofiche fanno parte del predetto studio, assai complesso, e noto anche come il ‘Costo sociale del carbonio’; ovveroil prezzo economico causato da ogni tonnellata di emissioni di anidrite carbonica, Co2, a cui assegnare un numero di morti previsto dalle emissioni stesse e che a loro volta causano la crisi climatica di cui tutti siamo spettatori in questi anni.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications e illustra le grandi disparità nelle emissioni generate dal consumo delle persone nei diversi paesi del mondo e, dato che si parla di morti, è bene comprendere meglio come avviene questo calcolo.
L’analisi, ricordiamolo, nonostante la sua attendibilità professionale, è pur sempre un test teorico con tutti i margini di errore che questo comporta, ma, detto questo, lo studio si basa su diversi dati di salute pubblica dove per ogni 4.434 tonnellate metriche di Co2 immesse nell’atmosfera un individuo nel mondo morirà precocemente a causa dell’aumento della temperatura da esso prodotto.
Per dare un idea del problema climatico causato dagli ignari tre “killer” americani, raffrontiamoli con altre realtà mondiali.
Ad esempio, per procurare i stessi danni, per fare un esempio, occorrono 29 “killer” in Brasile e addirittura 146 in Nigeria.
La notizia bella è che se si eliminano queste emissioni entro il fatidico 2050, evitando il rischio del riscaldamento anormale del Pianeta, si salverebbero, sempre ipoteticamente, almeno 74 milioni di persone in tutto il mondo.
Una doccia fredda a gelare i prudenti entusiasmi, arriva da Daniel Bressler, dell’Earth Institute della Columbia University, tra i redattori dello studio, il quale afferma che le stime sono certamente attendibili, ma addirittura sottostimate in quanto tengono conto solo dei morti direttamente colpiti dal calore atmosferico e non le vittime, certamente assai più numerose, di inondazioni sempre più frequenti con la distruzione di interi raccolti stagionali e di tutti quegli incidenti derivanti proprio dal cambiamento climatico.
Non solo, ma su questa analisi un altro importante studio dell’università di Harvard ha pubblicato lo scorso febbraio un documento dove si denuncia che più di 8 milioni di persone in varie parti della Terra muoiono ogni anno per gli effetti sulla salute dell’aria tossica.
Dati che fanno dire a Bressler “Ci sono un numero significativo di vite che possono essere salvate se si perseguono politiche climatiche più aggressive” – e inoltre per far capire come questi studi possono essere falsati da varie incognite – “Sono rimasto sorpreso di quanto sia grande il numero di morti. C’è una certa incertezza su questo, il numero potrebbe essere più basso, ma potrebbe anche essere molto più alto“.
Gli scienziati affermano che il cambiamento climatico, ottenuto dalle emissioni di carbonio, sta creando a livello globale ondate di calore molto più frequenti e dannose di quelle previste solo alcuni anni fa.
Il cosiddetto Costo sociale del carbonio è ormai un valore di riferimento e, come abbiamo sottolineato, potremmo definirlo una vera unità metrica che si basa a sua volta sugli studi dell’economista americano William Nordhaus, premio Nobel nel 2018 proprioper i suoi studi su economia e cambiamento climatico, nel quale si calcolano, tra gli altri, i danni prodotti da una tonnellata di emissioni, ma aggiunti, per fortuna, alla possibilità di adattarsi al clima che cambia.
Per fare un esempio, rifacendoci al modello di Nordhaus, il Costo sociale del carbonio dell’anno 2020 si aggira su 37 dollari a tonnellata, una cifra che può sembrare irrisoria, ma se aggiungiamo alle analisi di Bressler l’inserimento della mortalità climatica, questa cifra aumenta fino a 258 dollari per tonnellata.
Una cifra che diventa mostruosa con tutte le tonnellate emesse in un solo anno nel mondo.
Ciò nonostante, su questi dati, sempre Bressler ha affermato:”Nordhaus ha proposto un modello fantastico, ma non ha preso in considerazione la letteratura più recente sui danni del cambiamento climatico sulla mortalità, c’è stata un’esplosione di ricerche su questo argomento negli ultimi anni“.
Infine, nelle varie analisi, ha ribadito che se ogni individuo ha le sue responsabilità per il problema climatico, la vera attenzione dovrebbe essere sulle politiche nazionali con il loro impatto sulle imprese e sui governi che condizionano l’inquinamento da carbonio su scala sociale.
Analisi condivisibili, ma dato che l’indice accusatorio è sempre posto sul mondo Occidentale, bisognerebbe denunciare con forza anche l’inquinamento che da sole producono la Cina e l’India, insieme ad altri Paesi cosiddetti emergenti, che certo non hanno gli stessi controlli occidentali, ma producono in un anno singolarmente quasi il doppio di quello che emette l’intera Europa.
Peccato che nonostante gli sforzi in questi ultimi trent’anni per fermare il pericolo imminente di un vero crac climatico, non si è mai arrivati realmente ad un accordo internazionale per risolvere il problema, senza il quale tutti i discorsi sulla tutela dell’ambiente cadono miseramente; e il 2050, purtroppo, è sempre più vicino.