Non è semplice affrontare questi tempi in cui le certezze dell’umanità sembrano messe in scacco da un’entità talmente minuscola da non essere visibile se non con strumenti ad altissima definizione microscopica e la cui presenza può essere accertata soltanto quando i suoi sintomi ed effetti si stanno o si sono manifestati. È una condizione in parte di impotenza, in parte di confusione alla quale succede che ognuno voglia dare la risposta propria spesso ignorando quello che accade intorno e con ulteriori rischi per tutti.
La pandemia sta mostrando due volti, quello della scienza che in tempi rapidi sta cercando di contrastare il virus; l’altra la sensazione di solutidudine che coglie ognuno di noi nel confronto con la malattia. L’isolamento necessario per impedire il contagio, un auto isolamento, una decisione di staccarsi dal mondo quotidiano, con i ritmi e le azioni di sempre fa da innesco ad una condizione psicologica ancora oggetto di studio ma che condiziona la nostra e la vita di coloro che ci circonda.
Questo status si può definire con la parola che più di ogni altra ci viene in mente, smarriménto. Seguendo il dizionario scopriamo che con esso si indica il fatto di non trovare un oggetto, di non trovarlo più, di non sapere dove si è lasciato (differisce da perdita, in quanto presuppone in genere la speranza o la possibilità di ritrovare o di recuperare l’oggetto, mentre la perdita può essere definitiva).
Ancora, più vicino alla nostra riflessione il fatto di smarrirsi, cioè di smarrire la strada, di perdere l’orientamento. La condizione più grave che possa presentarsi è certo quella di perdere temporaneamente, cioè per un periodo di tempo più o meno lungo, i sensi, la lucidità di mente. Oppure lo stato momentaneo di turbamento o di sbigottimento, provocato da sorpresa, timore, dolore morale, che comporta la perdita delle normali facoltà di agire e di reagire.
Ecco allora che tocchiamo con mano si potrebbe dire, quanto ci accade. La sensazione che diviene condizione di non trovare con facilità e con convinzione gli elementi capaci di darci conforto, di sollevarci, di riportarci sulla via dell’equilibrio, quella che vorremmo ci contraddistinguesse sempre nel corso della nostra esistenza. Equilibrio instabile certo, come la vita stessa, ma condizione necessaria a che la nostra esistenza possa svolgersi, indirizzarsi, compiersi.
È proprio questo status dell’anima, del corpo, della nostra identità quella che cerchiamo di comprendere di fronte all’infinitesimo nemico che tuttavia ci sovrasta e che detta le regole di un modo di vivere che nulla ha a che vedere con quella che ritenevamo fosse la normalità e che da due anni a questa parte non riconosciamo più e fatichiamo ad indagare quale possa essere la via di uscita.
Ridotto ai minimi termini il nodo della questione è semplice: il mondo nella sua interezza si trova in uno scenario a suo modo preconizzato ma nella fantascienza dove si ipotizzavano situazioni pandemiche capaci di impattare su tutta la vita umana con scenari sia apocalittici che di forte reazione identitaria e di autoconservazione. Uno scenario nel quale in molti soccombevano e in pochi si salvavano e nel dopo ci si ritrovava in un mondo cambiato, straniante, lontano dalle caratteristiche che avevamo conosciuto.
Ovviamente parliamo di una visione onirica, frutto di menti a un tempo audaci e allo stesso tempo preoccupanti. Tuttavia, se la reazione che la scienza sta cercando di fronte al virus che ci ha attaccati ci fa immaginare una realtà diversa ma non completamente mutata, è assolutamente certo che da punto di vista psicologico, emozionale, sociale, quello che stiamo vivendo sta cambiando e non di poco il sistema al quale eravamo abituati.
Le reazioni come noto sono diverse. C’è la fiducia assoluta nella scienza, quella convinta e quella contraria. Le prime due portano nella direzione del rispetto delle regole che ci dobbiamo autoimporre, delle prescrizioni vaccinali e del loro indubbio vantaggio; la terza, rispettabile nel richiamo generico ai diritti di libertà, diviene poi stolidamente ideologica e millenaristica nel profluvio di sproloqui e di iniziative che hanno spesso anche connotati di ribellione, di volontà di controllo su quella che indubitabilmente è e rimane la maggioranza. Un dato che denota il valore parziale e partigiano di chi ne abbraccia le idee, il volersi differenziare dalla massa, il volersi autoincensare per essere l’unico che capisce qualcosa, che comprende appieno il “disegno” che sta sotto a tutto quello che ci viene detto di fare contro la nostra libertà e contro i nostri diritti.
Un delirio che spesso assomiglia a fenomeni in passato divenuti tragici per l’umanità intera e che dobbiamo con tutte le forze combattere con la forza delle idee e dei diritti come dei doveri che liberamente assumiamo. Occorre rifuggire da due estremi: quello secondo il quale un’occulta manovra mondiale ci vuole schiavi vaccinati e l’altra secondo la quale nell’opporci come minoranza vogliamo imporre la nostra visione anche con la forza a chi si richiama alla normalità di un tentativo di arginare e combattere quel qualcosa che altro non è che un virus, un agente patogeno del quale cominciamo a conoscere molti aspetti e molte particolarità!