È una stagione completamente diversa dalle precedenti quella che vede il paese stretto e condizionato dalla pandemia, dalle misure per contrastarla, dalle polemiche spesso oziose e superficiali, dalla messe inopportuna di presunte notizie “fondamentali”, da fake news artatamente costruite per creare e far permanere uno stato di fibrillazione nella cittadinanza, assistere alla cosiddetta corsa verso il Quirinale, ovvero l’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
Nel coacervo confuso (una tipica ripetizione forzata ma efficace) nel quale passiamo le nostre giornate, il processo costituzionale che deve portare al nuovo capo dello Stato appare distante e la controprova è nella secondaria attenzione che gli organi di stampa riservano al tema. E soprattutto nel modo nel quale lo fanno.
I cittadini hanno ben presente l’importanza della personalità che per i prossimi sette anni rappresenterà l’unità della nazione sia in patria sia all’estero. Gli esempi di questa statura necessaria sono stati nel tempo manifesti. Oggi il rebus al quale i cittadini fanno da spettatori sembra degno di un testo pirandelliano. Tutti sanno che la scelta “obbligata” sarebbe eleggere al Quirinale l’attuale presidente del Consiglio, sia per la sua figura a livello internazionale, sia per la capacità di attrarre e mantenere l’attenzione dall’estero sul cambiamento che si vuole portsare avanti in Italia.
Eppure non sembra questo l’intento della politica, nella sostanziale confusione a dire il vero poco attraente, nella quale si svolge il confronto tra le forze politiche. Come detto in una riflessione precedente, sembra non sia una cosa seria. Invece parliamo del simbolo che il paese deve darsi e che la Costituzione indica nelle sue prerogative chiaramente.
Ecco perché il termine che ci pare adatto in questa temperie spirituale è disattenzione. Nel dizionario che sempre accompagna queste digressioni con questo vocabolo si indica in sostanza il contrario dell’attenzione. La parola è composta infatti da quest’ultimo sostantivo e dal prefisso “dis” che ne negativizza il significato. Il senso comune è quello dell’essere disattento, della mancanza di attenzione.
Approfondendo il concetto troviamo che, con significato specifico, in psicologia, si intende lo stato psichico (distinto dalla distrazione) per cui il soggetto cessa di interessarsi a un oggetto per rivolgere l’attenzione a un oggetto diverso. Ancora possiamo parlare di svista, di omissione, di errore, causati da scarsa attenzione o da distrazione. Un campo ampio di riflessione soprattutto perché allo status indicato corrisponde un’ampia congerie di significati da un lato e di oggettive condizioni dall’altro.
Anche volgendo lo sguardo ai sinonimi scopriamo vieppiù il valore del termine. Così l’essere disattento si può anche interpretare con parole anche esse descrittive ma che integrano i possibili sensi conseguenti. Si pensi a disavvedutezza, a disavvertenza, al più consueto distrazione, o ancora a sbadataggine, a svagatezza. Particolare il senso che assume il vocabolo come negligenza, racchiudendo tutta una serie di riferimenti importanti per comprendere appieno come la disattenzione possa essere all’origine di una serie pressoché interminabile di possibili conseguenze.
Riportando il discorso sulla nostra condizione, appare chiaro che l’italiano medio per così dire, ma più in generale i cittadini tutti vedono in questo caso come la politica mostra ancora una volta la sua distanza dalla realtà e il senso vagamente straniante nel quale siamo costretti come italiani a muoverci.
Il valore più significativo di quanto si osserva è nella candidatura vera, presunta, di bandiera o meno, dell’ex cavaliere. Al di là di ogni valutazione pacata sulla persona e sul suo ruolo in questi anni sia in politica che in economia, è evidente che l’avvitamento dei leader politici sul suo nome manifesti in modo plastico come il confronto politico non stia tenendo assolutamente in considerazione la situazione reale del paese. Si ripropone il solito schema che per quasi venticinque anni ha bloccato il paese con una lotta senza quartiere e con una reazione anch’essa violenta. Oggi riproporre la sua figura, per alcuni divisiva, per altri capace di coagulare una parte del paese, concretizza quello schema e pone le basi per un’inutile diatriba basata sempre sulle confuse argomentazioni che per oltre due decenni ci hanno accompagnato e impegnato.
Solo che questi oltre due decenni sono passati. Il paese è cambiato non sempre positivamente, ma è cambiato, e oggi da quasi tre anni si dibatte in una condizione difficile e mai vissuta in precedenza a causa della pandemia. L’economia è preponderante con la sua crisi strutturale e con la gigantesca rete messa in funzione con l’ausilio e la garanzia degli aiuti europei e prova a disegnare quello che l’Italia potrà essere di qui a pochi anni.
La politica, invece sembra essere ferma agli anni Novanta, sia per lo schematismo che le si vorrebbe dare sia per la conseguente incapacità di trovare soluzioni chiare e condivise ad un tema che deve unire, cioè il capo dello Stato, e non dividere a priori. Ma tant’è; questo passa il convento. Il risultato appunto di questa generale disattenzione tranne che per gli addetti ai lavori. Una condizione assolutamente rischiosa per la stessa capacità della democrazia italiana di rimanere salda e lontana da frizioni e scontri inutili e dannosi!