Il periodo natalizio è servito un po’ a tutti a staccarsi dal lavoro quotidiano cui si è sottoposti. Tra Natale Capodanno, relative vigilie e domeniche ci si trova a stare inattivi e quindi in ozio.
Ma se un detto comune afferma che l’ozio è il padre dei vizi, allora ci si domanda se in questo periodo tutti noi stiamo in preda al vizio.
Occorre sfatare questo detto e rivalutare il cosiddetto ozio che non può essere confuso con i veri e propri vizi (es. fumo, alcool, droga, gioco d’azzardo ecc.).
Non bisogna confondere ozio con pigrizia che è una situazione patologica dell’individuo che si manifesta nella propensione a non affrontare attività che richiedono sforzo e impegno e può essere indizio di carenze affettive che generano depressione, apatia, inerzia.
Il termine ozio consiste in uno stato di inattività, come pure in uno stato di riposo.
La sua etimologia deriva dal latino otium (tempo di riposo) e infatti l’attività commerciale tra due o più soggetti era chiamata negotium (nec otium, alias non riposo) da cui il termine negozio giuridico, la cui espressione principale è il contratto.
Altra etimologia potrebbe discendere da autium (da aveo, sto bene).
Quindi il termine ozio è comunque contrapposto a lavoro. L’uno esclude l’altro o si tratta di due situazioni che possono coesistere?
All’epoca della creazione dell’uomo il lavoro non era un problema.
La Bibbia riferisce che dopo aver creato l’uomo il Signore Dio piantò un giardino in Eden e fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare e ivi pose l’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse. Ma l’attività della coltivazione e della custodia del giardino non doveva essere gravosa e pesante, perché alla cacciata dall’Eden, il Signore disse all’uomo: “con dolore ne trarrai il cibo, con il sudore del tuo volto mangerai il pane”. (Genesi, 2 e 3).
Quindi l’uomo nel paradiso terrestre non era passivo; fin dal principio l’Uomo è chiamato all’attività, alla coltivazione e alla custodia del giardino.
Tuttavia l’essere umano era allo stadio più elevato dello spirito, e viveva perfettamente integrato nella Presenza Divina che coabitava l’Eden con tutte le creature. L’opera principale dell’Uomo nell’Eden era la “coltivazione spirituale”, la perfetta sinfonia con Dio, giacché le piante crescevano senza dover essere lavorate e il lavoro era privo di fatica.
Una volta cacciato l’uomo dall’Eden, il lavoro per ottenere il sostentamento richiedeva un impegno, una fatica.
E nella stessa Bibbia troviamo scritto:
“Fa lavorare il tuo servo e potrai trovare riposo … Fallo lavorare perché non stia in ozio, poiché l’ozio insegna molte cattiverie” (Siracide,3: 26,28).
Concetto che veniva ripreso nel mondo greco, dove si distinguevano gli uomini liberi dagli schiavi. Agli schiavi venivano delegate le arti meccaniche e manuali mentre per i liberi l’ozio rappresentava il tempo libero da dedicare alle sette arti liberali del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia).
Il non far niente può essere un concetto negativo per gli schiavi, ma non per i liberi: la mentalità greca generale era propensa ad esaltare l’ozio. Per Aristotele l’uomo più elevato sarà lo studioso, colui che si dedica all’otium e non al negotium.
Ed Epicuro lancia il suo motto: “Vivi nascosto”, nel senso che è possibile raggiungere la felicità solo nell’otium (ritiro).
Così l’ozio rappresentava il distacco da ogni attività pubblica e commerciale. L’otium non rappresentava quindi un vizio (come per gli schiavi) ma era la cura di sé e della propria saggezza, che passava per la contemplazione e lo studio. In questo senso fu considerato da molti il padre della filosofia.
Nel De oratore Cicerone afferma che lo stato ideale di un individuo si basa sull’alternanza serena di otium e negotium.
Seneca, poi, dà all’otium un valore fondamentale per l’esercizio della filosofia; se la vita privata dei filosofi fosse occupata nell’esercizio di cariche pubbliche civili o militari costoro non sarebbero stati utili alla società: il buon cittadino che si allontana dalla politica non si ritira in un dolce far niente , ma si dedica agli studi, coltiva la virtù e migliora se stesso per essere utile ad un numero maggiore di persone. Nel De Otio Seneca chiarisce che l’ozio giova agli altri perché prepara una persona che ha intenzione di essere loro utile.
Con l’avvento del cristianesimo l’ozio è inteso anche come momento da dedicare alla meditazione, alla preghiera per avvicinarsi a Dio: “ora et labora” è la regola benedettina, nel senso che il lavoro va interrotto per spendere il tempo nella preghiera.
La scienza moderna ha inteso porre fine alla concezione dello stato di inferiorità degli schiavi e dei lavoratori manuali, che erano ritenuti una classe inferiore a quella intellettuale.
Viene abolita la schiavitù, pari diritti e doveri sono riconosciuti a ciascun cittadino, indipendentemente dal ceto sociale cui appartiene.
L’ozio non è una prerogativa per i benestanti, ma chiunque ha il diritto-dovere di trascorrere un periodo di ozio.
Nasce così l’istituto delle ferie, come diritto irrinunciabile ad un periodo di ozio, al fine di consentire il recupero delle energie e la realizzazione di esigenze culturali, ricreative, personali e familiari.
Perfino (come riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella pronunzia n. 158 del 2001) il detenuto che svolge un lavoro all’interno della casa di pena ha diritto ad un periodo di ferie, onde ritemprare le proprie energie usurate dal lavoro, ad esempio utilizzando le ore nelle quali avrebbe dovuto lavorare per recarsi in biblioteca o svolgere attività sportiva in palestra oppure rimanere semplicemente inattivo nella cella.
Quindi, come detto l’ozio non è da confondere con la pigrizia, tanto è vero che oggi si parla di “ozio creativo”, facendo riferimento al tempo libero dal lavoro manuale e dagli affari, per coltivare, ed esplorare se stessi ed aprirsi ad una dimensione creativa. Come disse il filosofo tedesco Max Horkheimer, senza l’ozio il pensiero filosofico non esisterebbe, non potrebbe essere creato né capito.