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Mattarella, il ritorno; mite e determinato

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Il giuramento del Presidente per il secondo mandato dinanzi alle Camere

Oggi il presidente della Repubblica ha giurato dinanzi al Paese secondo le formule e con le manifestazioni di rito. Per Sergio Mattarella un atto non dovuto per la sua rielezione, ma lo sprone ad essere in questo secondo mandato ancor più perno della democrazia e della stabilità del Paese alla ricerca della sua rinascita.

Se sei forte, sii mite e pacifico, in modo che chi ti sta vicino abbia rispetto di te più che paura. Parola attribuite a Chilone di Sparta. Ci sembra questo un modo di analizzare il bis del presidente Sergio Mattarella, rieletto con 759 voti all’ottavo scrutinio la sera del 29 gennaio scorso. La mitezza come modello, come fondamenta del vivere civile. Il senso di responsabilità è stato richiamato da lui stesso quale motivo della sua accettazione del secondo mandato, nel rispetto del popolo italiano, del Parlamento che lo ha votato: del “dovere di non sottrarmi che prevale sulle attese personali”. Mitezza che non è ne può essere arrendevolezza, ma capacità di ascolto e determinazione a trovare le soluzioni delle quai il paese ha bisogno. Quel paese che da molti mesi soffre nella pandemia e nella crisi ma che ha sempre visto nel capo dello Stato un punto di riferimento, un affetto, una vicinanza che lui stesso ha voluto sottolineare ricordando come non sia mai “sentito solo”, ma circondato dall’affetto e dall’alta considerzione dei cittadini.

Dunque la sua mitezza, apparente, la sua cifra di mediazione senza compromessi hanno fatto breccia nel paese e in quel parlamento sbandato che ha visto prevalere proprio la sensazione di fiducia verso l’uomo, verso la sua funzione di alto magistero, verso la sua maniera di affrontare un incarico certamente defatigante in un paese ancora avvolto da una vasta congerie di crisi avvighiate tra di loro, ma capace se sostenuto nel modo migliore di grandi balzi in avanti. Proprio quello che con il governo Draghi e con la sua maggioranza non di parte – espressamente richiesta dal presidente – sembra avviarsi verso una nuova pagina di sviluppo e di crescita da troppo tempo frenata.

Certo, la riconferma del capo dello Stato non può da sola avviare a soluzione le questioni aperte, ma la solidità del suo ruolo, la capacità di comprendere il paese, la sua moral suasion che nel corso del primo mandato ha guidato e accompagnato il cammino periglioso della nostra comunità nazionale, sono un punto fermo, una vera e propria garanzia per tutti dinanzi alle emergenze e ai problemi. E una conferma dell’attenzione positiva che presidenza e governo in questo momento hanno nella comunità internazionale che tira un sospiro di sollievo accogliendo con soddisfazione una stabilità che con il nostro paese spesso non ha avuto grande feeling nel passato.

Il nuovo settennato dunque si apre con la precisa direzione di non tentennare sulle strade che si sono aperte davanti al paese. E’ questo il secondo grande valore con il quale la politica, l’economia e la società tutta devono d’ora in poi fare i conti sperabilmente in senso positivo.

Ed ora? L’interrogativo dopo alcune certezze resta e si è ingigantito. Il Quirinale è saldamente tornato alla guida del Paese. Con lui l’esecutivo Draghi viene nuovamente legittimato dopo settimane, forse mesi, di lento logoramento e di fibrillazioni nelle forze che ne fanno parte. Il Paese può sentirsi più forte, più stabile verso un futuro pieno di incognite? Sarebbe bello che fosse così!

Ma la realtà è molto più difficile e variegata. Unica certezza la presidenza della Repubblica che non cambiando ci evita di misurarci su nuove logiche, nuovi intenti e così via. E’ il resto che ora entra in una nuova fase e apre nuove domande e nuove incognite. Se infatti il premier può allontanarsi da quella politica che prima lo ha elevato agli onori ma che lo stava ora quasi triturando, la stabilità dell’esecutivo e del sistema nel suo insieme poggia su una ipotesi tutta da verificare: che i partiti alle prese con le proprie interne convulsioni che le elezioni presidenziali hanno accentuato, sappiano trovare un nuovo equilibrio capace di sottrarrne il lavoro alle mutevoli sorti di leader e gruppi.

Anche perché il richiamo di Mattarella quando portò la politica alla scelta di Draghi fu proprio quello di dismettere i panni dei capipopolo e pensare di rappresentare insieme la volontà degli italiani e la loro aspirazione ad un paese più forte, equilibrato, capace di imboccare quelle strade che per decenni sono state lasciate senza esito, conducendo la nostra collettività di crisi in crisi vero quella più grave di comunità nel suo insieme. Evitare questo rischio dovrebbe essere il primo collante per una lavoro senza tentennamenti per quel “bene del Paese” che da troppe parti si immagina essere più che altro il proprio!

La politica nel suo insieme, da destra a sinistra, paga il prezzo più alto e giunge forse al punto più basso e critico della sua storia. Rifondare la rappresentanza dei cittadini anche in relazione al nuovo assetto costituzionale delle Camere che verranno dopo il prossimo appuntamento elettorale, con la ricomposizione vera e propria delle forze in campo, non semplicemente la dimunizione di deputati e senatori, diviene il primo obiettivo per risanarla e farla ritornare al centro della vita nazionale.

Intanto, si riparte dal Quirinale con la consapevolezza che il nuovo poggia sulla stabilità della più importante delle figure che la Costituzione indica come garante e difensore dell’unità nazionale!

Buon lavoro, allora Presidente! Molto è ancora da fare ma abbiamo sin da ora la certezza del metodo con il quale si affronteranno sia l’emergenza, sia la normalità, quella che si spera possa tornare per tutti noi. Non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo intero!    

 

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