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Guerra e riforme, evitare gli abbagli

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Il particolarismo dei partiti e gli avvenimenti che mutano la storia

Sia consentito, con umiltà, porsi dinanzi al nostro dibattito politico nella stagione della guerra, un conflitto la cui genesi e le cui possibili evoluzioni porteranno conseguenze pesanti sul nostro modo di vivere e sul funzionamento del sistema stesso nel quale viviamo. Lascia attoniti, nel mentre dobbiamo decidere ogni giorno cosa fare per tentare di avviare la pace, pur con decisioni che sembrano eccentriche rispetto ad essa, ma male necessario per indurre a più miti consigli chi aggredisce e con iattanza quasi “profetica” continua a negare l’esistenza stessa del suo avversario, sentir parlare di riforme come quella del catasto o di altri comparti nazionali deficitari. Non si tratta di minimizzare ma di guardare alle cose con realismo.

Da decenni trasciniamo in avanti, senza scopo e senza costrutto, immaginando ere davanti a noi, riforme sempre definite fondamentali e strutturali. Forse proprio per queste due definizioni troppo importanti per essere affrontate. Eccentrico dunque diventa il fatto che adesso, nel mentre si realizzano scenari di riforme a livello europeo, cambiamenti impressi sia dalla crisi economica mondiale sia da quella pandemica, il nostro metro di giudizio sia riferito a qualcosa di particolare, di minimo, pur importante.

Forse assistiamo al tentativo di allontanare dal nostro pensiero quel che accade a poche migliaia di chilometri da noi che distrugge certezze, assiomi, concezioni sin qui ritenute valide e ci pone dinanzi alla cruda realtà dell’homo homini lupus e alla sua ineluttabile sorte di distruzione e morte!

Sentiamo parlare delle riforme ineludibili della giustizia, della pubblica amministrazione, delle infrastrutture, dell’occasione del Pnrr e poi vediamo che il dibattito interno a queste realtà resta quello delle bandierine da sistemare a difesa del proprio, di quello che da sempre non si vuole modificare. La sensazione è fortemente negativa e tutto appare poco lungimirante mentre si stanno ponendo le fondamenta di un nuovo ordine mondiale i cui contorni sono tutt’altro che chiari e sicuri.

Quel che accade in Ucraina, la crudele e immorale aggressione da parte della Russia sta facendo franare ogni certezza di quel mondo pacifico al quale da generazioni ci eravamo assuefatti, ancorché limitato a parte del globo nel quale ostilità, nazionalismi e guerre, ci hanno fatto da contorno. Oggi il virus della guerra, della violenza della negazione sono alle porte di casa e ci accorgiamo che non abbiamo fatto veramente i conti con la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, ci siamo illusi che molte cose fossero risolte. Così non è!

Quel che attira l’attenzione non è tanto il senso proprio delle riforme della quali si parla, ineludibili, necessarie, fondanti, ma il corollario nel quale si scade nel momento in cui se ne parla nei dettagli, dove emergono come sempre, egoismi, rendite di posizione, ostilità preconcette, ideologismi di ogni tipo. L’esatto contrario di quello che dovrebbe condurci alla soluzione di problemi secolari, infrastrutturali, spesso anche etici per grandi parti della popolazione.

Di fronte a questo quadro di riferimento, a partiti che non sembrano più avere quella leadership che ad un paese moderno si richiede proprio nel momento che rischia di essere più buio per la civiltà umana, quasi immediato si manifesta un senso di incertezza, di scoramento, di tristezza anche. Non ci si rende conto che le scelte in questo frangente devono essere a loro modo epocali, storiche e non frutto di parassitismi o egoismi minimali.

Delle due l’una: o la spinta della guerra ci aiuta a prendere decisioni che mai sono state prese ma solo abbozzate e si sono poi sempre impantanate, oppure quel che va deciso ogni giorno non può tenerne conto. La stabilità stessa del paese come di molti altri partner europei attraversa uno dei momenti più bui da decenni e le decisioni anche drastiche che il governo pretende dalle forze politiche indica la strada. Avvertire ogni giorno che la corda si allunga, si indebolisce perché non si trova il modo di comprendere la realtà che ci circonda ma ci si rifà alle formule lise e scontate di un’Italia che per fortuna in gran parte non c’è più, non giova all’interesse di alcuno ed è dannoso per tutti anche per coloro che questi sistemi continuano a praticare. La guerra e le riforme non sono in contraddizione, ma se lo stato è di guerra – ancorché in apparenza lontana dalla nostra quotidianità – le seconde devono essere viste nella logica dell’oggi e in prospettiva, con coraggio e con qualche interesse particolare di meno. La strategia deve essere alta, non minuscola, per condurre il paese fuori dalle peste nel quale da decenni si trova, l’interesse nazionale, in questo momento deve essere la direzione e la barra deve essere chiaramente orientata a questo non alla ricerca di nuovi equilibri “corporativi” nel mentre si rischia di veder mutati tutti i riferimenti internazionali. Da evitare sono abbagli di questa natura che potrebbero costarci caro quando torneremo per così dire alla normalità, qualsiasi essa potrà essere!          

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