Società

Calo demografico, estinzione programmata

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Nel 2100, senza neonati, gli italiani rischiano praticamente l’estinzione. Con il crollo demografico cambierà per sempre la nostra Penisola

In questi tempi si parla di guerra nucleare ormai sotto la porta di casa, di crisi economica, di mancanza di materie prime, di carestie e di catastrofe ambientale, insomma ci aspetta un futuro da film horror con la differenza che questa è la realtà, senza neanche la classica luce in fondo al tunnel; probabilmente con la crisi energetica la luce l’hanno già tagliata.

Uno scenario apocalittico, dunque, che noi italiani probabilmente non vivremo, semplicemente perché non ci saremo più come popolo.

L’Italia sarà una semplice espressione geografica (copywriter del principe di Metternich, ndr) desertificata non solo dal clima, ma dei suoi stessi abitanti.

Ma se pensate che ciò avvenga a causa di una esplosione nucleare vi sbagliate. Accadrà perché con un autentico spirito suicida abbiamo deciso di non avere più figli o, meglio, non in maniera tale da creare un ricambio generazionale che permetta ad una nazione di guardare, nonostante tutto, al futuro; e tanto per stare allegri abbiamo appena 10 o 15 anni per invertire la rotta prima della catastrofe.

Nonostante che la demografia per una nazione sia la base per qualsiasi progetto di crescita, dai noi è un argomento praticamente sconosciuto, considerato tutt’al più un tema di nicchia, tanto è vero che nel recente Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) l’argomento sostanzialmente è inesistente.

A ricordarci su quale precipizio siamo seduti da veri incoscienti ci ha pensato, tra i tanti scienziati, il prof. Roberto Volpi, già direttore degli uffici di statistica oltre ad essere autore di numerosi saggi sull’argomento, in definitiva uno studioso serio che ha tracciato nel suo ultimo libro, ‘Gli ultimi italiani. Come si estingue un popolo’, la nostra sorte come popolo se non corriamo presto ai ripari.

L’autore spiega, in maniera chiara e documentata, che l’aumento o meno della popolazione influisce concretamente sulla vita quotidiana di una nazione dandole dinamismo oppure emarginazione sia sociale e sia economica rispetto alle altre nazioni.

La crisi demografica è un problema che attanaglia un po’ tutto il mondo industrializzato, ma l’Italia probabilmente è il Paese al mondo che rischia di più per la sua estinzione, i numeri che Volpi porta nel saggio lo stanno a dimostrare e sono a dir poco raccapriccianti: “Una catastrofe – scrive – destinata a produrre una popolazione pressoché spenta dal punto di vista vitalistico-riproduttivo”.

Il crollo della popolazione è chiaro nelle statistiche, solo due anni fa, nel 2020, la nostra popolazione era di circa 60 milioni, ma fra appena cinquant’anni saremo, secondo i dati ISTAT, 12 milioni in meno, poco meno di 47 milioni, così a fine secolo saranno rimasti appena dai 30 ai 40 milioni di abitanti, circaun bambino ogni 4 anziani se le nascite, secondo un altro importante demografo come il prof Gian Carlo Blangiardo, rimarranno su un numero di appena 400 mila nascituri.

Il calo demografico sarà una realtà in tutto il Paese, ma sarà assai critico per il Mezzogiorno dove, addirittura, rispetto agli abitanti di oggi nel 2070 ci sarà un calo di 6,6 milioni, con un 33% in meno, il Nord perderà almeno 3,3 milioni di abitanti (il 12%) e il Centro 2,1 milioni (il 18%).

Nonostante questo quadro desolante, sembra che nessuno si chieda cosa faremo quando queste cifre saranno nella nostra quotidianità, quale futuro economico potremo mai disegnare la politica se non c’è chi lavora, chi produce e che consuma?

Avremo solo una popolazione di vecchi e i giovani saranno sfortunatamente una rarità.

I politicanti di turno, affermano che la mancanza di lavoro e di un reddito adeguato sia la causa primaria di questo stato di cose, una tesi da economicismo marxista, ma che non spiega tutto, ad esempio nell’Italia del dopoguerra devastata economicamente fino agli anni ’60 ci fu un vero boom delle nascite, ma come viene spesso ricordato, c’era la fiducia nel futuro, cosa che oggi manca del tutto.

Ancora si parla di mancanza di asili nido o, ad esempio, dei servizi per l’infanzia che Volpi definisce purtroppo “pannicelli caldi” davanti ad un calo demografico così drammatico. A questo punto il libro affronta anche in maniera coraggiosa, visto il politically correct in cui viviamo, alcune tematiche di primaria importanza per capire come siamo arrivati a questa situazione con la domanda più naturale: quali sono le cause del perché non si fanno più figli?

L’analisi, nel libro, affronta temi scottanti come: natalità, prolungamento dell’età a cui ci si sposa, poco sesso, nascita e declino del figlio unico e “pavidità demografica di massa”, oltre a immigrazione e moltissimo altro, ma le vere cause strutturali di questa crisi sono di carattere sociale e culturale.

Abbiamo accennato prima del boom di nuove nascite fino ai primi anni ‘60, ma subito dopo con il ’68 si sono aperti nuovi spazi con la “Contestazione” anche della famiglia e proprio in quegli anni abbiamo avuto tutte quelle norme legislative che con il divorzio, il nuovo diritto di famiglia e con l’aborto (ogni anno sono circa 60 mila gli aborti praticati in Italia, ndr) il concetto di famiglia viene scardinato e con esso viene sempre meno il concetto di un nucleo famigliare composto da figli, si comincia  allora a parlare sempre più di single, di coppie aperte, famiglie allargate, termine quanto mai improprio e ciò che prima era una forma di solidità sociale, come l’istituto matrimoniale, viene ridimensionato drasticamente.

In poco meno di cinquant’anni, siamo passati da 420 mila matrimoni nel 1963, di cui solo 20 mila non erano cattolici, siamo passati a poco meno di 184 mila matrimoni nel 2020 sviluppando la convivenza affettiva, ormai maggioranza nel rapporto di coppia.

Ancora nel libro vengono proposte iniziative urgenti da porre all’attenzione principalmente dei politici, ma, parafrasando il titolo del celebre libro di Marcello Dell’Orta, possiamo solo dire: “Io speriamo che me la cavo”.

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