La parola

Farisaismo

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Lontano da chi scrive qualsiasi intento esegetico o dottrinale o alcun riferimento di natura biblica. Il termine scelto è legato più al presente e al modo nel quale si intende il senso del vocabolo. Tuttavia una breve riflessione su di esso torna quanto meno utile per comprendere il significato. Il fariṡaismo (o fariṡeismo) indica la setta, il partito dei farisei, la loro dottrina politica e il complesso dei loro atteggiamenti, delle loro norme nella vita pratica, sociale, politica dell’antica Israele. La spiegazione più accreditata dell’etimologia indica separato o ciò che si separa. Per capire almeno in estrema sintesi, l’atteggiamento dei seguaci di questa posizione era quello di isolarsi e professare la loro visione delle scritture con tradizione orale con estremo attaccamento alla forma più che alla sostanza. Ecco perché il valore più frequente indica l’agire da fariseo, formalisticamente o addirittura con ipocrisia.

Questa seconda considerazione risente certamente delle parole pronunciate da Gesù, nel vangelo di Matteo (capitolo 23, versetti 27 e 28) rivolgendosi agli scribi, ai farisei, agli ipocriti e ai sepolcri imbiancati. Quest’ultima espressione figurata con la quale da sempre si fa riferimento a persone false, ipocrite, che nascondono comportamenti disonesti o comunque riprovevoli ammantandoli di una parvenza di rettitudine irreprensibile. Altrimenti si potrebbe pensare a formule quali il perbenismo, la riverniciatura della propria immagine. In proposito le tradizioni religiose di quel tempo imponevano, in determinate circostanze, di non toccare i sepolcri in quanto considerati impuri; quindi, allo scopo di renderli più visibili e ridurre il rischio di calpestarli involontariamente, essi venivano imbiancati con la calce.

Una situazione, questa descritta, che ci introduce al senso non propriamente positivo, anzi al valore assolutamente deteriore con il quale si definiscono i comportamenti di chi si atteggia in tal modo. Similmente si potrebbe dire che in modo infingardo dissimula i propri veri intenti “ripulendosi (ovvero imbiancandosi) rientri a pieno titolo in questa definizione.

La situazione attuale, il mondo che sta cambiando davanti a noi, mostra in modo esponenziale l’atteggiamento di chi non vuole assumere responsabilità alcuna e si trincera dietro a formule, a ragionamenti in apparenza sensati, persino seducenti, ma assolutamente riprovevoli perché in aperto contrasto con la realtà.

Pensiamo al leitmotiv antiguerra e ai distinguo tra aggressore o aggredito. E’ proprio in questo ambito che l’atteggiamento farisaico assume la sua più ampia e compiuta forma, inanellando anche luoghi comuni e frasi fatte che sono per lo più dirette ad escludere qualsiasi coinvolgimento ma che poi rappresentano il maggior atto di partigianeria favorendo in modo esponenziale soltanto una parte, solitamente quella apparentemente più forte ed alla quale in buona sostanza si ritiene di essere più vicini.

Non importa che le circostanze descrivano chiaramente un percorso non modificabile. Per il fariseo tutto quello che accade è legato sicuramente a comportamenti compiuti dall’aggredito che hanno aperto la strada alla reazione, questa sì giustificata, dell’aggressore che per lui tale non è. In sostanza, si sta delineando senza mezzi termini il “sistema” mentale del bullo. Prima si offende senza ritegno la vittima designata, le si imputano atteggiamenti provocatori, poi alla prima reazione di quest’ultima si disegna la reazione “giustificata” da questi presunti atteggiamenti e la si corrobora con altri elementi descrittivi. Non mancano poi riferimenti alle origini e alla inesistenza di questo o di quello nella storia del nemico di turno e il gioco è fatto potremmo dire per la mente distorta del bullo.

E’ evidente che per fermare il bullo occorre un bullo più duro e capace di incutere timore. Ecco in nuce il senso di ogni allargamento e di ogni estremismo verbale e non che fa da scenario a quelle che poi sono tragedie epocali per popoli, regioni del mondo, o addirittura per tutto il genere umano.

All’inizio di quel terzo millennio che si voleva privo delle macchie indelebili dei secoli precedenti e soprattutto di quello breve dove la “ingegnerizzazione” del male ha prodotto ferite non rimarginabili e scevro dalle ideologie nefaste che a queste hanno portato, il quadro è desolante.

Le ideologie non ci sono più, ma è rimasto il loro substrato più ottuso e putrido nel quale a piene mani si prendono riferimenti, parole d’ordine e si motivano azioni. La narrazione è ormai una sequela di affastellamenti, di ricostruzioni che non tengono conto dei dati storici e che vengono piegate e modificate ad ogni fine appaia utile. L’ignoranza imperante (intesa nel senso proprio di mancanza di conoscenza) non fa che semplificare ed estremizzare. Le parole devono essere semplici, comprensibili, utilizzabili senza pensieri. Come in un videogioco ci muoviamo e agiamo incuranti del fine ultimo di chi ci fa giocare. Come burattini non ci poniamo domande!

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Oltre settecento anni fa, riportando il senso della vicenda umana, Dante Alighieri ci regalava questa semplice frase. Dovremmo metterla davanti ai nostri atti, alle nostre parole, prima di profferire alcunché. Molti lutti e molte tragedie si potrebbero evitare con la semplice traduzione in atto di quel patrimonio di equilibrio che queste parole ci trasmettono! E come narra il Vangelo, farisei e sepolcri imbiancati dovrebbero essere cacciati dal tempio, nel nostro caso la nostra convivenza umana!         

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