La rapida conclusione dell’iter di formazione del nuovo esecutivo, dal voto al passaggio simbolico alla neo presidente del Consiglio Giorgia Meloni della campanella con il premier Draghi, segna certamente un cambio di passo in quei riti formali ma sostanziali sui quali si regge la vita democratica nelle istituzioni.
Nonostante qualche malumore dei soliti pignoli giova ricordare che per formare il nuovo governo in Germania sono occorsi dei mesi.
Superato questo passaggio e consci di quanto nelle ultime concitate ore che hanno presieduto il giuramento della nuova compagine si è verificato dietro le quinte ma non troppo, ecco perché la scelta del termine è caduta su ipoteca. Vocabolo che viene dal latino hypotheca, che trova la sua sostanza nella parola greca ὑποϑήκη che a sua volta si rifà al verbo ὑποτίϑημι (ipotitemi) e al suo sognificato piuttosto chiaro, «mettere sotto, impegnare».
È nel linguaggio giuridico che si trova la massima espressione del vocabolo dove indica un diritto reale di garanzia costituito a favore di un creditore su beni immobili o mobili registrati del debitore (o di un terzo che lo garantisce), al fine di assicurare con la vendita forzata dei medesimi l’adempimento di un’obbligazione: si divide in volontaria, conseguente a un accordo fra le parti; legale o giudiziale, conseguenti rispettivamente, ci ricorda il dizionario, a un’espressa disposizione di legge a tutela di crediti particolari, o a un procedimento giudiziale. L’ipoteca si può prendere, mettere, accendere spegnere come la quotidiana applicazione delle sue prescrizioni nella realtà sociale ben sa. Di conseguenza, in quanto diritto reale e documentale essa si può iscrivere, rinnovare, cancellare, attraverso le procedure che passano presso quella che viene conosciuta e definita oggi come conservatoria dei registri immobiliari, ovvero l’ufficio presso cui si registrano le ipoteche e si può consultare il certificato dal quale si evincono se e quante ipoteche gravano sopra uno o più beni immobili. Ancora, in questo ambito si parla di lettera di ipoteca, quale dichiarazione con cui, nel finanziamento su merci viaggianti mediante cambiale tratta, il venditore autorizza il detentore della cambiale a disporre delle merci in caso di mancato pagamento o accettazione della cambiale stessa.
Tristemente noto il parlare toscano secondo il quale si dà o si mette in ipoteca un oggetto, ovvero lo si impegna presso un usuraio o al monte di pietà.
Più in generale il termine si riferisce al mettere una sorta di segno su qualche cosa con il valore di accaparrarsela, assicurarsene il possesso prevenendo altri. Con questo significato è un’espressione frequente anche nel linguaggio politico e giornalistico, soprattutto per indicare un diritto o un condizionamento avanzati da un partito o da un gruppo di potere su posti o cariche importanti della vita politica, economica, culturale del paese.
Ecco il punto che ci ha convinto ad occuparci di questa parola. È evidente, al di là di episodi come la fuoriuscita di registrazioni quanto meno eccentriche se non compromettenti di un ex presidente del Consiglio, leader di un partito a sua immagine molto più di altri presenti sulla scena, che fare affermazioni anche in privato su questioni di delicatissimi equilibri internazionali nel corso di una guerra di invasione scatenata da un paese nei confronti di un altro, sia un vulnus se non presente certamente immanente. A poco servono le correzioni e le affermazioni in contrario per garantire l’ancoraggio occidentale del partito, la fermezza del coordinatore espressione da sempre di atlantismo e fedeltà alla posizione del paese e al suo schierarsi dalla parte ucraina. Essi sono certamente capisaldi di un’azione di governo dove quale vice presidente del Consiglio saprà dare sostanza e continuità. È evidente però che il peso negativo di certe espressioni e non tanto quelle di amicizia personale verso il capo di un paese autoritario e guerrafondaio, ma quelle successive delle quali si poteva francamente fare a meno volte a sostenere la poca affidabilità del governo di Kiev e la volontà di sostituirle da parte dell’invasore con persone “per bene”.
Il passo vero l’intelligenza con il nemico è talmente breve da essere evanescente e sarà compito gravoso e quotidiano dei dirigenti e dei ministri del partito riaffermare in ogni dove comportamenti e scelte conseguenti alla posizione del paese. Quello che è stato detto, non è la prima volta, è molto grave a meno di non considerarlo una sorta di uscita dal recinto di un ex premier divenuto marginale sia in Parlamento sia nei confronti di quelle forze in qualche modo uscite dall’azione da lui intrapresa molti decenni fa. Quindi una polpetta avvelenata, una soddisfazione postuma, prima che si compisse la scelta del capo dello Stato e la formazione del nuovo esecutivo.
Se non si definisce in senso politico un’ipoteca questa è difficile allora capirne il senso. Più corretto sarebbe analizzare il perché nel momento in cui nasce un governo di centrodestra, la parte definibile di centro appaia in una forte crisi il cui esito è difficile prevedere a meno che la personalizzazione del partito di riferimento non finisca con lo stemperarsi e dare finalmente avvio ad un cambio generazionale quanto mai necessario proprio a garanzia del futuro!