La parola

La parola della settimana: Preconcetto

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I primi momenti, perché di tali si tratta pur nella concitazione dei mesi finali di un anno difficilissimo, mostrano e non ve ne era certo bisogno almeno due considerazioni abbastanza veritiere da apparire sicure: sia nella maggioranza che nell’opposizione appaiono comportamenti e decisioni che appaiono senza ombra di dubbio figli di quello che si sintetizza nella parola scelta questa settimana.

Il termine è preconcetto, aggettivo e sostantivo al tempo stesso composto da una prefisso “pre” e dal vocabolo latino conceptus (forma di participio passato del verbo concipere ovvero concepire. Il valore semantico che si evince immediatamente è quello di concepito prima. E quello che si dice in relazione soprattutto a idee o giudizi formulati in modo irrazionale, sulla base di prevenzioni, di convinzioni ideologiche, di sentimenti istintivi, spesso per partito preso e senza una esperienza personale. Tale habitus si manifesta con opinioni, con antipatia o forme di reazione verso l’altro, come avversione, ostilità nei confronti di qualcuno. Opporre si può delineare come una presa di posizione che si basa su di una convinzione sovente non sedimentata ma emozionale o, nel caso peggiore, voluta.

Il termine si riferisce anche a un concetto come convincimento, idea, opinione privi di giustificazioni razionali o non suffragati da conoscenze ed esperienze dirette. Così si sente affermare ad esempio: il tuo ragionamento parte da un preconcetto erroneo; bisogna giudicare senza preconcetti. Si può anche riscontrare un uso del termine al posto di pregiudizio, con ciò sempre partendo da una posizione non convinta ma solo e volutamente concepita come latra e basata su forme di convinzione non fortificata e non riflettuta. 

Il dizionario è come sempre essenziale nel delineare quelli che sono i confini lessicali e concettuali della parola che si affronta. La vita concreta ci mostra e in ogni ambito come il preconcetto sia diffuso in ogni settore della vita umana e sociale e come esso sia fonte di incomprensioni, dissidi, scontri anche violenti. 

Una visione aperta e consapevole del vivere in società, dell’organizzazione dei rapporti umani sarebbe fortemente evolutiva e positiva se non facesse emergere in ogni dove forme di convincimento errate, senza fondamento e costruite soltanto al fine di perpetuare divisioni e differenze non reali ma soltanto frutto di abitudine e di scarsa capacità di analisi.     

La vita politica nazionale alla quale si fa sempre riferimento mostra come tale habitus non solo sia reale, ma tremendamente diffuso e onnipresente. Tralasciando manifestazioni ai limiti della decenza e dell’equilibrio che fanno parte di meccanismi sociali negativi ma presenti come, ad esempio, quelli diffusi nel mondo sportivo, nel calcio soprattutto, dove non si discetta di capacità concrete, ma di condizionamenti inveterati, frasi fatte, concetti abusati e via dicendo con il peggior armamentario possibile, l’attenzione si sposta inevitabilmente sulla vita politica e sul modo in cui da decenni si sviluppa nel nostro paese. 

L’arrivo per molti versi atteso ed auspicato per altri temuto ed aborrito di un voto popolare che ha premiato i partiti del centro destra ed in primis la forza più conservatrice in esso presente, sta dando la stura purtroppo ad ogni preconcetto possibile invece di essere vissuto come un momento dialettico di vita democratica che dopo quasi ottant’anni la nostra repubblica dovrebbe essere in grado di vivere ed accettare come fisiologico.

L’atteggiamento evidente è invece fuorviante e demagogico sia da destra che da sinistra. Nella coalizione vincente e nel partito della presidente del Consiglio sembra giunto il momento non tanto della agognata normalità politica dopo decenni di isolamento ed ostracismo praticamente dall’inizio della repubblica, ma una sorta di stura ad ogni elemento dirompente con il passato vissuto come revanscismo se non di idee quanto meno di posizioni. Non sia fuorviante l’equilibrio che la neopremier sta ponendo nella sua azione di guida dell’esecutivo e le ferme parole di continuità sull’Europa e sulla posizione internazionale del paese. In realtà nella pancia del suo partito continua a vivere e ad alimentarsi un’idea impossibile come quella di ridare dignità a ciò che la dignità ha perso nella storia. Una posizione antistorica e sterile perché le ragioni stesse di quell’idea non esistono più neppure nel popolo della destra, ma soltanto in una minuscola minoranza di esso. 

Nell’arcipelago delle opposizioni altresì permane e si sostanzia ogni giorno un atteggiamento opposto e speculare e soprattutto senza intelligenza prospettica, quella che auspicava ormai un’epoca fa Aldo Moro. Se a destra si pensa all’antico, lo si fa anche nella sinistra e questo bellamente lontani da ogni reale analisi del paese. Così l’unica cosa che sembra attuarsi a sinistra dal Pd in poi è quella di rimarcare come da una cattedra le mancanze del nuovo esecutivo, le sue derive vere o presunte, le sue violazioni di codici ritenuti tali solo perché forgiati e pensati da essa sinistra ad uso e consumo per ostracizzare e colpevolizzare ogni pensiero che non sia conforme.

Non vi è intelligenza, non vi è comprensione del paese, delle sue articolazioni e soprattutto non si vuole accettare che un sistema democratico sia tale anche se non si è al governo. Gli italiani hanno dato credito a una parte politica inconsueta, la cosa da fare è di confrontarsi con essa. Non ci sono cattedre, primogeniture od altro, ma fasi della vita del Paese che vanno vissute per quello che sono, nel quadro di quella forma costituzionale che quasi ottant’anni fa nacque da dolore, sofferenza e divisione cercando di superarle in nome di una comunità coesa e condivisa. È e resta sempre questa la stella polare dei comportamenti!  

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