La storia del nostro paese, nel flusso continuo della storia del mondo da quello vicino europeo a quello lontano, sembra un continuo avvolgersi, svolgersi e riavvolgersi di meccanismi che pur mutando i fattori esteriori, vive sempre sulla stessa lunghezza d’onda: partigianeria, contrapposizione, scontro. Come se ottant’anni di Repubblica e di Costituzione siano passati invano. Basta ascoltare il dibattito più semplice, più minuto in certo senso lontano dalla politica politicante per imbattersi in una realtà surreale e tutto sommato sfrontatamente scontata.
Non esiste alcun momento istituzionale, tranne la facciata a volte, la ritualità di gesti scontati nella loro logica applicazione, nel quale vi sia il confronto delle idee, il dibattere anche con forza e passione da posizioni distanti, la ricerca genuina ancorché di parte di una sintesi tra quelle che vengono definite le diverse anime della nazione. Nulla di tutto questo. In una dissociazione psicologica, anzi degna dell’analisi psichiatrica, ogni passo della politica è contraddistinto dal distinguo ideologico, pur nella morte delle ideologie, per il quale ogni altra posizione è inaccettabile, da contrastare e meglio ancora combattere senza requie.
Così, di decennio in decennio, mentre si è consumata la fine di un sistema ornai esaurito in tutte le sue sfaccettature, la nascita e il rapido aborto di un altro tentativo, quella seconda repubblica mai nata, mentre la forze delle cose, della tecnologia, della globalizzazione ci ha scaraventati in una dimensione nuova, planetaria, dove i comportamenti dei singoli e dei gruppi si rifanno a nuove forme di logica e a schemi di comportamento che soprattutto nelle nuove generazioni assumono connotati di vera e propria rivoluzione nei comportamenti, nei sistemi sociali e via dicendo.
Ebbene, il dibattito politico sembra infischiarsene di tutto questo. Nel territorio, come al centro, sembra che tutto si svolga in nome di logiche spartitorie, nel sistematico affermare: prima c’eravate voi, oggi ci siamo noi! Come in una tragica tela di Penelope (quella antica sostenuta dalla speranza del ritorno dell’eroe) tutto ciò che si la mattina viene disfatto la sera. Tutto ciò che si è detto prima può essere sconfessato, corretto, negato dopo. Così per decenni e decenni il paese è andato avanti, poi è andato indietro, poi ha ritentato di andare avanti, poi è stato fatto ritornare indietro. Questo nella politica.
Nella società ormai questo eterno schema immutabile ha fatto tilt e da molto tempo e non certo per l’arrivo dei migranti, ma per la crescita nonostante tutto del popolo italiano che tra contraddizioni ed errori ha cercato e sta cercando di trovare le soluzioni più adatte al proprio governo.
Il riflesso condizionato è immutabile anch’esso anche se possiamo dire sostanzialmente “idiota” ovvero non conosce ciò che inevitabilmente cambia. Dopo due, tre, quattro esperimenti e formule diverse, l’elettorato ha dato un’indicazione chiara per la coalizione di governo e per la sua guida. Una scelta pochissimi mesi fa non ipotizzabile ma che gli italiani nella loro saggia constatazione dell’esistente hanno inteso fare per due ragioni: provare una sorta di ultima spiaggia e nello stesso tempo dare un sonoro scossone ad un sistema consunto per la sua stessa inanità.
Immediatamente si è attivato il riflesso condizionato. Chi non è più al governo ha cominciato ad usare tutti gli armamentari triti e ritriti del passato utilizzabili o vetusti per dire no e per porsi ineluttabilmente all’opposizione. Più o meno quello al quale si è assistito nelle varie circonvoluzioni del passato sugli altri fronti. Tuttavia, nel caso specifico il partito democratico, quello che più di ogni altro avrebbe dovuto conoscere lo stato del paese reale, ha fatto orecchie da mercante per puro spirito di conservazione del potere ed ormai senza saper più decrittare umori e comportamenti. Ora che gli italiani (pur con la discesa dell’affluenza al voto) hanno in grande maggioranza indicato una strada precisa (quasi per disperazione a dire il vero) ecco che rinascono i toni dell’opposizione degna della guerra fredda e della contrapposizione ideologica. Un puro esercizio retorico inutile nel deserto culturale che l’immobilismo decennale ha prodotto.
Con un vizio classico (da non escludere in modi differenti in altri gruppi) il Pd o meglio quello che ne rimane ha riassunto i comportamenti della forze dura e pura di opposizione contro la storia e contro l’evoluzione del paese. L’elezione della nuova segretaria del partito ne è la plastica applicazione e sta muovendo tutto ciò che si agitava alla sua sinistra come se fosse rinato un antico modo di far politica: quello che per decenni ha caratterizzato il Pci o meglio la sua parte più ideologica: essere contro, essere “anti” sempre, comunque e dovunque, mai per … qualcosa. Le stesse precise ragioni che hanno decretato la situazione attuale e relegato il partito all’opposizione. E accanto a questo il flirt con i cinquestelle ovvero con quel fenomeno populista, qualunquista e pronto solo a distruggere l’esistente. Un connubio agghiacciante da immaginare.
In questo schema come per incanto si vanno rafforzando i toni più bellicosi delle forze politiche al governo oggi, disabituate da sempre alla dialettica necessaria a condurre il paese.
Quello che si mostra a questo punto è il vecchio adagio che si governa solo al centro e che il centro nel nostro paese non esiste più da ormai troppo tempo e non si vede mai come possa rinascere tra piccoli protagonismi, grandi appetiti, nel vuoto pneumatico di una vera leadership!
E’ questo ormai da decenni il vero problema e il vero nodo gordiano da tentare di sciogliere.
La politica nazionale invece persegue soprattutto l’oggi, anche se si straparla di riforme sempre necessarie, sempre ineludibili, ma mai realmente affrontate. Una riprova plastica dell’esistente è la non rosea figura che le istituzioni nazionali locali e centrali stanno offrendo nell’attuazione delle misure necessarie per l’accesso alla risorse del PNRR a noi riservate dalle istituzioni europee. Risorse preziose oltreché opportune. Eppure persino quando si tratta di avere soldi e finanziamenti il nostro sistema arranca.
Dopo il decisionismo del governo Draghi e l’avvio di molti capitoli di spesa, oggi sembra di assistere ad un lento insabbiamento con il rischio reale però di non ricevere quegli oltre 200 miliardi di euro di cui l’Italia ha dannatamente bisogno. Già il solo far filosofia sulla ridefinizione dei tempi e dei modi dimostra fuori di metafora i problemi che abbiamo.
Insomma come abbiamo sottolineato, come ai tempi dei guelfi e dei ghibellini, il nostro confronto politico si svolge sempre su posizioni antitetiche, non conciliabili, e mai per affermare una linea, una visione. Sempre “anti” e mai “per”! Il copione muta ma la storia rimane sempre la stessa!