Posso dire, senza tema di smentita, che sono di quella generazione sopravvissuta ai “rimedi della nonna” per quanto riguarda la salute, specialmente in questo periodo di festività.
Il medico e le medicine certamente si usavano, ma nei casi leggeri come i classici raffreddori di stagione, si preferivano le soluzioni casalinghe tramandante da tempi immemori in famiglia di cui si diceva un gran bene arrivando a raccontare addirittura casi di veri miracoli, a cui noi bambini credevamo senza indugio come, ad esempio, le castagne in tasca. Si, avete letto bene, una o più castagne in tasca tolgono, o almeno questa era la speranza, i fastidi del infreddatura.
Vi chiederete da dove nasce questa “medicina” alternativa e se ha effettivamente elementi sanatori; ebbene, per averla provata più volte sotto il consiglio di mia nonna, posso affermare con certezza che almeno su di me non ha avuto alcun effetto se non quello di sformare le tasche dei pantaloni per le troppe castagne che vi infilavo.
Dove nasce allora questa diceria?
Nei tempi che furono, ai cavalli si davano, insieme alla biada, anche i frutti di ippocastano, della famiglia appunto delle castagne, per rafforzare la loro struttura muscolare e avere una maggiore resistenza nel trottare, perché tutto questo? Semplice, dalla radice della parola cavallo in greco si legge ippo e con questa nota grammaticale si sono curate o meglio non curate decine e decine di generazioni.
Se le castagne in tasca non fanno nulla chissà cosa farà al raffreddore e al mal di gola il panettone, il dolce meneghino per antonomasia.
Un po’ in tutto il Nord Italia c’era l’usanza di conservare una fetta di panettone aperto il 25 dicembre e custodita gelosamente fino al 3 febbraio, giorno di San Biagio, protettore del naso e della gola. Quel giorno si deve mangiare la fetta di questo dolce non più come leccornia, ormai un po’ dura, ma come farmaco. Se poi faccia bene non lo so, ma di sicuro alza la glicemia e a proposito di picchi glicemici ancora oggi è uso bere specialmente la sera se si raffreddati un bicchiere di latte caldo con un bel cucchiaio di miele.
Che il miele sia lenitivo e antiinfiammatorio è risaputo ed è vero, ma attenzione deve essere un prodotto purissimo altrimenti se manipolato industrialmente non ha più le stesse proprietà sanitarie e il latte, secondo i medici, non aggiunge nulla alla cura del raffreddore in compenso, però, è pur sempre una carezza in più al sofferente che male non fa di certo.
Lo stesso si può dire per l’immancabile brodo di pollo.
Che faccia bene come nutrimento non è in discussione ricco com’è di grasso e di minerali, consente, inoltre, di non sciupare le ossa o gli scarti di verdure utilizzate per altri scopi e, oltre ad essere buono, scalda corpo e rilassa la mente, ma per il raffreddore non sembra avere alcuna valenza confermata.
Tra i rimedi casalinghi o della immancabile nonna sempre questa volta per la tosse c’era il succo di … cipolla.
Prendere questo bulbo tagliarlo a fette coprirlo con abbondante zucchero e lasciarlo macerare una notte intera in uno scolino dal quale colerà il suo liquido o siero che va raccolto e utilizzato come sciroppo per un immediato sollievo, se funziona io personalmente non lo so, ma intanto ho sempre usato le cipolle così trattate come contorno su una fetta di pane brustolita e ripassata in forno. Una prelibatezza.
Un altro obbligo sanitario che ricorreva in casa con i disturbi di stagione erano di sicuro le arance, l’unico frutto per il quale avevamo il permesso di mangiarne quante se ne poteva grazie al contenuto di vitamina C, vero toccasana per mal di gola, raffreddore e influenza.
Peccato che crescendo abbiamo saputo che la tanto incensata vitamina C non è un medicinale e al massimo può aiutare a prevenire l’indisposizione, inoltre non è un prodotto che si può immagazzinare e in ultimo prima delle arance per ricchezza di vitamina C abbiamo: i peperoni, i kiwi, le fragole e i broccoli.
A questo punto forse è meglio fare un semplice salto in farmacia evitando improvvisati rimedi in casa e sicuramente saremo curati meglio.