Tecnica anti-spreco del cibo
Nella Roma che fu, fino al secondo dopoguerra c’erano i cosiddetti “fagottari”,
sinceramente non so come si chiamassero in altre città; erano coloro che durante la
gita ‘fuori porta’ si portavano da casa il mangiare per arrivare poi a una delle tante
fraschetterie, piccoli locali in campagna dove c’era solo la mescita del vino, e
pagando solo quest’ultimo si sedevano e mangiando in allegria “questo mondo e
quell’altro”, per dirla in maniera popolare si godevano la giornata.
Poi arrivò il primo accenno di benessere negli anni ‘50 e dalla semplice
fraschetteria si passò alla trattoria e poi, infine, al ristorante, ma a questo punto non
si poteva portare di certo il cibo da casa, peccato, perchè dopo un bel pranzo,
spesso i piatti non si riuscivano a consumare del tutto ed allora il cliente in accordo
con il ristoratore chiedeva di portar via ciò che non aveva consumato.
Non c’erano problemi, era buon uso per non buttare il cibo che era costato, non
solo soldi, ma anche tempo e fatica.
Gli anni passano e arriva il boom, la gente si sente appagata e ormai chiedere
di portar via il non consumato diventa per i più una presunta cafonaggine.
Nessuno voleva passare per tirchio, così, anche se con rammarico, si
lasciavano abbandonate nel piatto saporite lasagne o quelle polpette tanto buone.
Solo i più sfacciati chiedevano al cameriere con la scusa del loro cane, ovviamente,
ciò che era rimasto. Oggi, purtroppo per costoro, i cani come i gatti mangiano solo
cibo sofisticato preparato appositamente per loro e questa scusa non regge più,
dunque, addio anche al fagotto per il cane, ma come vedremo, fino ad un certo
punto.
Il fagotto per il cane se lo traduco in Doggy bag (borsa per cane in inglese)
allora tutto acquista una altra dimensione, più accettabile sia socialmente che
economicamente.
Usando questo termine anglofono di colpo non si passa più per taccagni o
miserabili, ma come coloro che sono attenti alla sostenibilità dell’ambiente contro
l’insensato spreco alimentare che, solo lo scorso anno, sia in casa che al ristorante,
ha raggiunto una cifra assurda di circa 65 chili pro capite, nonostante la crisi.
Numeri che lasciano sinceramente sbigottiti specie in una nazione come la
nostra dove due milioni di persone vivono sotto il livello di povertà.
Così, seguendo queste nuove direttive socio-economiche, agli inizi di questo
anno a gennaio, è stata depositata una proposta di legge dal gruppo di Forza Italia
per ovviare a questo sperpero di risorse rendendo obbligatorio al ristorante il Doggy
bag – chiamarlo fagotto sarebbe stato inelegante – una iniziativa che tra l’altro è uno
degli obiettivi fissati nell’Agenda Onu per il 2030 contro gli sprechi, ma come in altri
casi non sempre l’obbligo risolve i problemi.
Come abbiamo accennato, un cliente al ristorante, ancora oggi, è restio a
chiedere i resti del cibo per non passare da indigente, anche se in nazioni come gli
USA, la Francia e la Spagna è ormai obbligatorio da anni, ma ciò nonostante anche
lì ha creato non pochi malumori, infatti è previsto che tutti i ristoranti debbono avere
sempre a disposizione dei contenitori a norma, riutilizzabili o riciclabili, per permettere
agli ospiti di portare a casa l’eventuale cibo avanzato, altrimenti una sanzione tra i 25
e i 125 euro.
Inoltre a richiedere la Doggy bag, specifica l’articolo 4 del testo, deve essere il
cliente che non deve uscire dal ristorante con i propri avanzi in un sacchetto, ma ha il
diritto a usufruire del suddetto servizio.
Costi a cui spesso però il consumatore non pensa, se poi a tutto questo
aggiungiamo le specifiche del provvedimento (sempre se sarà approvato, ndr) di
come gestire la questione; allora saranno problemi, come sapere il numero minimo di
coperti, se i contenitori per il cibo devono essere di un tipo determinato coerente con
l’ambiente (probabilmente compostabili), o altre immancabili variabili come lo
stoccaggio, o su chi debba ricadere il relativo onere in più (il cliente, o il ristoratore?),
o la relativa tassazione, ecc.
Insomma, una legge che avrebbe un sicuro aggravio di costi per acquistare i
contenitori a norma e non ultimo un aumento dei tempi del servizio che ricadrebbe
certamente sul prezzo finale della cena; si parla già di un rincaro almeno di 6
centesimi.
Deve essere una libera scelta non un obbligo, dicono gli esercenti, altrimenti da
cortesia diventa un imposizione e il ristoratore deve assolvere un impegno non da
poco sia per il contenitore e sia per il tempo che il cameriere deve occupare per
mettere le cose a posto.
Fanno notare molti addetti alla ristorazione, per chi lo desidera, si può chiedere
di portar via parte del pasto consumato o la bottiglia del buon vino non terminata, fin
d’ora, ma l’obbligo non viene accettato per i motivi già espressi ed anche per motivi
di qualità e gusto. Ci sono i chef, non solo quelli stellati, a cui non piace l’idea che un
cibo preparato fresco venga portato via e mangiato fuori tempo, sacrificandone di
fatto la fragranza; ma non solo, bisogna tenere conto di svariati aspetti, come la
custodia del cibo una volta che il cliente ha lasciato il ristorante che implica questioni
di igiene; il che non è certo cosa da poco.
Questo argomento può sembrare superficiale, ma gioca un impatto di milioni di
euro ogni anno e, forse, è arrivato il momento di fermarsi davanti a questo spreco e
di ripensare la nostra quotidianità, avviando norme che incontrino l’interesse del
cliente, del ristoratore e, se permettete, anche la dignità del cibo che non può e non
deve essere buttato via quando ci sono persone che non ne hanno.