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È bello andare in pensione, ma con quali soldi?

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Ogni anno, potete starne certi, quando il caldo invade le città e l’afa è opprimente, sui social appare una foto di alcuni vecchi seduti su una panchina che si asciugano il viso dal sudore per l’alta temperatura e sotto la foto la didascalia recita: “Con questo caldo per le persone anziane si consiglia di uscire solo nelle ore più calde, non bere acqua e così via”, firmato la Previdenza sociale

Insomma, un incoraggiamento non proprio elegante, rivolto alle persone di una certa età di lasciare il posto ai giovani.

Ovviamente è uno scherzo, ma se oggi è tale, domani certamente lo sarà meno. La pensione è considerata giustamente un diritto fondamentale e una grande conquista sociale dove, grazie ai soldi versati negli anni lavorativi, si può guardare al futuro con più serenità, anche se, lo sappiamo tutti, purtroppo, non è sempre così visti gli emolumenti, spesso irrisori. 

Come vedremo, non è un problema solo di buona volontà da parte dello Stato, ma è una situazione assai più complessa. Il sistema, a detta degli esperti, è sull’orlo dell’insostenibilità quando già nel 2029 calerà il rapporto tra lavoratori e pensionati passando dall’1,4 all’1,3 in percentuale per arrivare al 2050 a uno a uno; cioè un pensionato per ogni lavoratore. In risultato è che il quadro generale delle pensioni non è certo roseo. 

Nel nostro Bel Paese attualmente, su 111 stipendi dei lavoratori, ben 100 sono in pagamento per le pensioni. Già in Calabria, per fare un esempio, per 67 lavoratori ci sono 100 pensionati, ma non è certo un caso isolato, ancora in 29 province su 107, i pensionati sono già più numerosi di chi svolge una attività. 

Un fardello pericoloso che, se rapportato all’intera nazione, ne può decretare il fallimento dello Stato. 

È noto che nella catena previdenziale ogni lavoratore paga oggi il contributo ai pensionati che a loro volta hanno pagato ai loro predecessori, sfortunatamente negli ultimi anni, per motivi non solo di lavoro mal retribuito e di difficile versamento hanno portato le Casse previdenziali sempre più in deficit, senza dimenticare il precariato un vero pericolo per il mercato del lavoro che non permette certamente versamenti costanti per la previdenza. 

Nel 2022 con la ripresa dopo la pandemia, si è registrata una dinamica vivace, ma contemporaneamente anche il record di licenziamenti (3,7 milioni, di cui 1,5 milioni a tempo indeterminato) e assunzioni per un totale di oltre 4 milioni di nuovi contratti di cui 3 milioni a tempo determinato e 1,1 milioni a tempo indeterminato. 

Se la matematica non è una opinione, di fatto in 10 mesi sono stati persi 400mila posti di lavoro considerati stabili. Niente male per il nostro Paese che sul fronte occupazionale ha tra i peggiori risultati in Europa con solo il 39% di occupati in rapporto alla popolazione, in pratica 23 milioni su 36 milioni in età da lavoro, e come se questo non bastasse, siamo distanti di ben 10 punti percentuali dalla media europea per quanto riguarda l’occupazione femminile e quella giovanile.

A questo punto è bene fare una precisazione: spesso per le pensione da erogare difficilmente il lavoratore ha potuto versare negli anni il giusto e, dunque, la differenza la mette lo Stato con una quantità di spese che sta aumentando in maniera assai critica tra contribuzioni pagati e prestazioni.

Un equilibrio assai difficile da controllare tanto che negli ultimi anni, dopo un decennio contraddistinto dal graduale innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati è di nuovo aumentato, arrivando a 16 milioni di persone a carico del sistema previdenziale. 

Per completare questo quadro non certo esaltante, c’è anche il tema della denatalità, ormai endemico, speriamo futuribile, che non ci sarà più chi finanzierà le pensioni per l’evidente deficit tra nascite e morti che porta inevitabilmente una riduzione del rapporto tra chi versa contributi e chi è già in pensione. 

Un problema quasi irreversibile e se qualcuno pensa di risolvere con le nascite tra le persone extra comunitarie, si sbaglia, anch’essi da qualche tempo hanno le culle quasi vuote e, dunque, un bel rebus per chi dovrà governare nei prossimi anni.

Secondo gli economisti occorrerebbe accelerare un deciso cambio di strategia da parte dello Stato, per il quale la quasi totalità della spesa pubblica è ancora indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, mentre ci sarebbe bisogno di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi. 

Concludiamo con una nota di Alessandro Camilli su Blitz quotidiano, “L’idea generale è che nulla importi o comunque significhi e comporti che i pensionati diventino sempre di più e i lavoratori in attività sempre di meno. Anzi la pulsione sociale e il cruccio politico è quello di mandare in pensione più gente possibile e il più presto possibile”. 

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