Di Gianfranco Caprioli
La palude di disumanità nella quale siamo precipitati ha diffuso una sensazione di smarrimento e di sfiducia. Un vento sinistro che alimenta focolai accesi dagli estremismi e dai fanatismi.
Dopo ottanta anni di pace, assicurata dall’assetto postbellico, frutto di un dialogo obbligato dalle enormi perdite umane e dalle catastrofiche rovine, siamo di nuovo in presenza di rigurgiti di sopraffazione, generati da nazionalismi e distorsioni sovraniste.
Dalle ispirate visioni di grandi statisti è gemmata negli anni successivi alla seconda guerra mondiale una forte volontà di limitare la spinta alla competizione attraverso forme di cooperazione. Uno spirito concretizzatosi in vari Accordi internazionali (ONU-1945-FMI-1945- Bretton Woods, Nato -1949) fino a sfociare in uno stretto dialogo europeo nella cornice del manifesto di Ventotene. Suscita riflessioni e perplessità ripetere gli obiettivi che hanno spinto alla costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: mantenere la pace e la sicurezza, sviluppare relazioni amichevoli fra gli Stati, perseguire una cooperazione internazionale, favorire l’armonizzazione delle varie azioni, prevenire futuri conflitti.
Tali obiettivi furono fissati anche per superare i problemi che avevano fatto fallire la Società delle Nazioni del 1919.
Il disegno europeo era centrato su tre obiettivi cruciali: la Comunità Europea di difesa (non decollata per l’opposizione francese), la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e la Comunità Europea dell’energia atomica, confluite poi nel 1957 nei Trattati di Roma, istitutivi della Comunità economica europea (CEE).
Oggi nebbie oscure offuscano nuovamente i rapporti internazionali. La ricerca di vie diplomatiche atte a fermare le guerre è ostacolata dal veleno delle armi e delle egemonie. Il percorso è arduo, ma, bisogna convincersene, inevitabile per evitare ulteriori radicalizzazioni e risentimenti. La complessità della situazione spinge a cercare la mediazione di ”arbitri”, o almeno di soggetti meno coinvolti nei conflitti.
La ricerca di ogni forma di cooperazione, specificamente a livello europeo, oltre che per ragioni geopolitiche, risponde alla natura della nostra economia.
Come ben noto, siamo un paese non ricco di materie prime, né autosufficiente in materia energetica. La nostra economia poggia sul capitale umano, sulle piccole e medie imprese, sulla capacità di trasformare materie prime, di inventare i relativi macchinari, sul design, moda, arte e paesaggio, cibo. Struttura che implica intensi scambi con l’estero e flussi turistici. Caratteristiche valorizzate solo in un clima pacifico e in rapporti di cooperazione con i Paesi esteri. Vincoli ancora più serrati nell’ambito comunitario, dove siamo il secondo Paese manifatturiero dopo la Germania, con la quale abbiamo una stretta integrazione economica. L’Europa, escluse le potenzialità di Cina e India, oltreché gli USA, è il mercato più importante, che deve essere completato nei tratti comunitari per eliminare distorsioni di concorrenza e di trattamento. Inoltre, per la sua storia e cultura, l’Europa si pone per molti versi in una posizione di “terzietà”, che la rendono un soggetto eleggibile a promuovere ravvicinamenti economici e diplomatici.
Purtroppo, l’anno in corso è denso di incertezze: oltre cinquanta appuntamenti elettorali che coinvolgono le maggiori potenze mondiali e due miliardi circa di cittadini chiamati al voto. La stampa riporta sondaggi foschi per la stessa democrazia.
Un’attenzione particolare va riservata al rinnovo del Parlamento europeo, unico organo elettivo della UE che svolge una funzione di sostanziale contrappeso nei rapporti con gli Stati membri e con il Consiglio (organo politico) composto da Rappresentanti degli Stati e con la Commissione , organo di proposta e di attuazione delle norme comunitarie.
I deputati eletti nel Parlamento europeo sono riuniti in gruppi politici (23 deputati e almeno un quarto degli Stati membri), organizzati, non per nazionalità, ma per affinità politiche. Attualmente i gruppi politici sono sette (Gruppo del Partito popolare europeo, gruppo Alleanza progressista di socialisti e democratici, Renew Europe Group, gruppo dei Verdi-Alleanza Europea, gruppo dei conservatori e riformisti europei, gruppo Identità e Democrazia, e gruppo della Sinistra. I gruppi sono composti da almeno 23 membri. Oltre ai Gruppi politici il Parlamento europeo lavora mediante venti Commissioni permanenti specializzate per settori. Esse esaminano anche le proposte della Commissione e del Consiglio.
Inoltre il Parlamento si avvale di Delegazioni con il compito di curare i rapporti con i Parlamenti nazionali, con le Regioni ed Organizzazioni.
È interessante rilevare che i Parlamenti nazionali vedono progressivamente ridotti i propri poteri (Prof. S. Cassese) dai Governi, che ricorrono con crescente frequenza ai Decreti Legge e ai Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, con la giustificazione che in un mondo digitale i sistemi internazionali implicano decisioni rapide e adeguamenti tempestivi delle norme. Un processo che di fatto altera gli equilibri di potere (checks and balances) che la Costituzione ha posto a base della struttura della nostra democrazia. Ebbene, una più stretta collaborazione dei Parlamenti nazionali con il Parlamento europeo potrebbe essere il trampolino per il recupero di funzioni degli stessi Parlamenti nazionali.
In tale contesto, è necessario favorire una crescita più accelerata del processo di cessione di sovranità dagli Stati membri alla UE perché sono proprio le difficoltà che gli Stati frappongono a rendere complesse e lunghe le decisioni comunitarie sulle quali occorre coagulare l’adesione di ventisette Stati e fra qualche anno di trenta. Una struttura articolata e complessa che ha reso auspicabile il superamento del voto all’unanimità, almeno per le materie che ostacolano il processo di maggiore coesione. Il Parlamento europeo potrebbe porsi in una posizione privilegiata in quanto Organo di raccordo con il Consiglio e con la Commissione e, ancor più rilevante, con i Parlamenti nazionali, contribuendo, come detto, al recupero delle loro funzioni.
Un’occasione per aggiornare tali competenze potrebbe essere inquadrata nell’incarico di elaborare un progetto di rilancio della competitività della UE, affidato ad una personalità di grande prestigio, come il Presidente Draghi. Pur con i limiti di tutti i sondaggi, è utile evidenziare i risultati delle ultime rilevazioni fatte dall’Eurobarometro 100°, dalle quali risulta che i cittadini europei, al di là delle dispute dei Governi, considerano la U.E. luogo di stabilità, in un mondo in subbuglio. Il 60% sono ottimisti sul futuro dell’Unione, 69% favorevoli a una politica estera comune,77% favorevoli a una politica di difesa e sicurezza comune, 69% favorevoli a una politica di migrazione comune, 83% auspicano maggiori investimenti nelle energie rinnovabili.
La presenza dell’Europa nel consesso mondiale passa obbligatoriamente attraverso un processo di maggiore integrazione, di cessione di maggiori poteri alla UE (Fisco, finanza, bilancio).
Le nuove generazioni, se non aizzate e radicalizzate, chiedono più efficacia, più merito, relazioni pacifiche (Schengen, Erasmus), per credere in un futuro migliore. Fiducia indispensabile per favorire il recupero di un quadro di pace e di cooperazione, viatico anche per il rilancio della natalità, per una conoscenza approfondita della storia e cultura dei singoli Stati.
Non si conosce altra via per lasciare un’eredità, un esempio positivo alle nuove generazioni.