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Lo sguardo profondo

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Un discorso sui principi fondamentali della “filosofia” di Leopardi, centrata sul sistema delle illusioni che aiutano a farci sopportare il destino umano e a conservare le comunità politiche.    

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 Copertina: Lo sguardo profondo

Autore:
Massimo Luciani  
Titolo:
Lo sguardo profondo.

Leopardi, la politica, l’Italia

Editore:
Mucchi
Uscita 2017

Pagine: 131
Genere: Letteratura e diritto
Prezzo: euro 13

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Recanati e Italia. 1798-1837. Ormai conosciamo abbastanza bene vita e opere di Giacomo Leopardi. Quel che continua a stupire è la vitalità contemporanea dei suoi testi letterari e delle sue riflessioni culturali, anche rispetto a discipline e argomenti meno indagati, come il diritto e le forme di governo (non solo la politica). Il crivello leopardiano ha saputo separare attentamente la liquidità contingente dalla permanente solidità dei processi storici, in particolare guardando a fondo nella psicologia degli italiani e cogliendo con lucidità e freschezza le correnti carsiche che percorrono la storia del nostro Paese. Leopardi mette sempre in guardia contro l’illusione che i governi possano dare agli uomini la felicità, pur consapevole che l’inutilità della politica non è maggiore né diversa dall’inutilità della vita e di tutte le cose umane in generale. Al centro del suo pensiero si colloca il concetto dell’illusione, delle illusioni, maggiori e più fertili (foriere di immaginazione) nello stato di fanciullezza, del singolo e della comunità politica, sempre e comunque essenziali per la sopravvivenza individuale e per la tenuta dei legami sociali. Essendo materialismo, empirismo, scetticismo, non cognitivismo, relativismo i tratti fondamentali della sua “filosofia”, per il poeta recanatese è il sistema delle illusioni che aiuta a farci sopportare il destino umano e a conservare le comunità politiche. Molto si è discusso se qualche spunto innovativo degli ultimi anni (di contro alla “natura” unicamente il sodalizio degli uomini può servire di difesa, per tutti e per ciascuno) contrasti le opinioni precedenti; più probabilmente le completa, problematizzandole ulteriormente. Ciò riguarda anche l’apprezzamento per le forme di governo segnate dall’appartenenza del potere alla nazione, una (meno imperfetta) società “mezzana” che asseconda la brama umana di felicità e assicura la massima varietà delle personalità (una uguaglianza almeno di mezzi e di opportunità).

Il grande costituzionalista Massimo Luciani (Roma, 1952) quasi una decina di anni fa introdusse un seminario a porte chiuse su Leopardi politico, poi apparso fra il 2010 e il 2012 in varie riviste e volumi collettanei. Il bel testo esce ora in modo autonomo (formato snello e tascabile) con ampia ricca prefazione e titolo nuovo. I paragrafi centrali erano sei, i primi tre sulle premesse antropologiche e le cruciali illusioni nel pensiero leopardiano, i successivi più specifici su argomenti giuridici (la dottrina delle forme di governo, la critica all’universalismo e al cosmopolitismo e la figura del nemico, la questione dell’Italia), tutti di non semplice (ma molto interessante) lettura per virgolettati, rimandi, parentesi. Le considerazioni supplementari riflettono ancora sulla capacità leopardiana di indagine storica stratigrafica (oltre gli eventi individuali) e approfondiscono due aspetti: universalismo e linguaggio. L’avversione al cosmopolitismo non era ideologica o aprioristica, ma logica e razionale, espressa col tradizionale angosciato disincanto. Il nesso di causalità va dalla società e dalla politica alla letteratura e all’espressione linguistica. Luciani offre continue frequenti citazioni di Leopardi sui vari temi trattati, prima di esaminare con acume e coerenza una parte delle interpretazioni critiche che già li avevano valutati. Denso è l’apparato di note, dal quale emerge una bibliografia selezionata ed essenziale. Interessanti i riferimenti al nesso fra parole e cose e alla xenofobia. Forse è un poco sottovalutato il retroterra scientifico nella filosofia e nella poesia di un piccolo gobbo sommo pensante, che molto amò la scienza e la laica coscienza della propria finitezza, per arrivare a definire uno scientifico poetico relativismo, contro la pretesa assolutezza di qualsiasi dottrina, anche religiosa.

 

v.c.

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