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La battaglia continua. Grazie al rifornimento dal cielo, effettuato dagli aerei americani, i combattenti curdi di Kobane stanno tenendo testa agli uomini del califfato.
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La battaglia continua. Grazie al rifornimento dal cielo, effettuato dagli aerei americani, i combattenti curdi di Kobane stanno tenendo testa agli uomini del califfato. Un assedio che va avanti da oltre un mese con combattimenti durissimi, che hanno reso la città al confine tra Siria e Turchia uno scheletro di edifici popolato dai pochi abitanti che non sono riusciti a fuggire. Quelli che ce l’hanno fatta sono invece accampati nelle strutture messe a disposizione dalle Nazioni Unite, a pochi chilometri dalla strategica linea di frontiera.
Le stime degli operatori sul campo parlano di oltre un milione e mezzo di profughi nella sola Turchia, mentre un numero ancora maggiore si sarebbe rifugiato nel vicino Libano. Proprio il paese dei cedri, dall’inizio della rivoluzione siriana, sta pagando il prezzo più alto in termini di “accoglienza”. Una situazione che sta diventando insostenibile per un paese alle prese da sempre con un complicatissimo mosaico di etnie e confessioni. La maggior parte dei rifugiati siriani si è accampata nel nord del territorio libanese, dove è predominante la comunità sunnita, mentre nel sud a maggioranza sciita, l’afflusso di disperati in fuga dalle violenze è assai minore. Anzi, l’ala militare del movimento degli Hezbollah, sta fornendo un decisivo contributo al Presidente siriano Assad nella lotta per la difesa del potere. Proprio il ruolo ed i metodi del cerchio magico alauita padrone di Damasco, sta diventando un rompicapo che obbliga la comunità internazionale a continui equilibrismi diplomatici. In questa fase c’è chi lo considera il male minore, ipotizzando il rischio di una Siria nelle mani dei jihadisti del califfato. Al contempo le testimonianze dei prigionieri politici, per la maggior parte laici, rinchiusi nelle prigioni del regime, sono quotidianamente fonte di imbarazzo per i paesi occidentali impegnati nella guerra all’Is.
Dalle segrete di Damasco stanno emergendo racconti dell’orrore che farebbero impallidire persino i metodi usati dall’inquisizione medioevale, con prigionieri appesi a ganci per giorni e seviziati con scariche elettriche e pinze arroventate.
Con il passare del tempo si fa sempre più chiara la strategia del clan Assad: usare la mano dura contro la componente liberal dell’opposizione e agire invece con metodi blandi nei confronti delle formazioni islamiste. Una politica che sta dando i suoi frutti, facendo passare il sanguinario regime come un male accettabile, in una regione già infestata da troppa violenza. D’altronde, in ogni guerra fratricida, il prezzo più alto viene pagato da quel segmento di società che cerca di far sentire la propria voce in maniera pacifica.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::174::/cck::