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Quando, il 31 dicembre di quattordici anni fa, con la sindrome della fine del millennio, salutammo l’arrivo del nuovo e l’inizio del Duemila, non potevamo immaginare a che cosa ci saremmo trovati davanti poco meno di tre lustri dopo!
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Quando, il 31 dicembre di quattordici anni fa, con la sindrome della fine del millennio, salutammo l’arrivo del nuovo e l’inizio del Duemila, non potevamo immaginare a che cosa ci saremmo trovati davanti poco meno di tre lustri dopo! Si parlava della fine del secolo breve, quello delle rivoluzioni, delle dittature e delle ideologie totalitarie. Si pensava ci saremmo avviati verso il nuovo in tutti i campi. Internet era agli albori ma se ne immaginavano le potenzialità. Il sentire comune era che l’umanità si poteva incamminare in una nuova stagione di libertà, di vittoria della democrazia, di prosperità e serenità. Inutile dire che quattordici anni dopo o giù di lì nulla di tutto questo si sia realizzato. Le guerre ormai endemiche insanguinano decine di paesi e di terre martoriate, milioni di persone sono alle prese con la violenza, la sopraffazione, la sofferenza, le malattie!
Il sentire comune è ancora drammaticamente millenaristico, si guarda al domani con preoccupazione e con apprensione. Le conquiste di libertà, di benessere sembrano di nuovo a rischio!
Se da questo sguardo globale ci rivolgiamo all’Italia abbiamo la triste conferma di questa analisi pur se qualche elemento di speranza si può cogliere.
Quello che si avverte, analizzando il sistema Italia, è che per noi l’onda lunga del Novecento stia ancora dispiegando i suoi effetti! Siamo un paese in allarmante ritardo e in drammatico trapasso tra il vecchio e il nuovo! L’affondo che in questi giorni, in queste ore, la sinistra sindacale e del Pd sta portando al suo stesso governo, ci riporta indietro di qualche decennio, lo scontro è frontale. I sindacati, in particolare la CGIL non sembrano riuscire a capire che cosa è cambiato nel paese, anzi sia detto per inciso lo sanno benissimo, ma l’evoluzione dell’analisi e della prassi sindacale, del rapporto con quelle che un volta si definivano le masse, non sembra aver fatto molti passi avanti.
Lo scenario è sempre quello che i lavoratori devono scendere in piazza per dare spallate al governo di turno, di qualsiasi colore sia, per ottenere poi aumenti salariali e conquiste normative. Soltanto che di operai e lavoratori si sono quasi perse le tracce e che quel che resta sembra essere indietro rispetto alla corsa tecnologica e ai cambiamenti del sistema produttivo. Dunque manca l’evoluzione dell’analisi e della prassi sindacale come abbiamo detto: tempi nuovi e diversi richiedono risposte nuove e diverse.
Come si fa a concepire una lotta di classe quando le classi sono divenute liquide e quando il ceto medio appare nella sua crisi strutturale più grave sino a scomparire, quando i giovani non trovano lavoro, non hanno credito e ingrossano soltanto il serbatoio degli inoccupati sempre più cronici! Se la risposta è innalzare le bandiere e urlare slogan contro il padrone, vuol dire che un secolo intero, ancorché breve, è passato invano. Che i cambiamenti strutturali e sociali non sono stati compresi!
È l’onda lunga del Novecento che ancora ci sommerge e ci impedisce di trovare gli strumenti nuovi e adeguati ad un mondo che ci sta lasciando indietro e dove il potere economico è sempre più ineffabile, evanescente, imprendibile e allo stesso tempo pesante, condizionante e determinante per provare a crescere o tornare a farlo.
Il governo Renzi viene attaccato per usare molte parole e pochi fatti! Lo si definisce dei poteri forti, poco manca che si disseppellisca la trilateral commission, per infiammare gli animi contro il nemico di sempre, quello di classe. Pur di sinistra il sindacato lo attacca come fosse di destra, senza rendersi conto che il consenso che esso raccoglie in termini di fiducia e di sguardo al futuro va valutato, analizzato, compreso e fatto proprio, confermando così l’eterna malattia della sinistra: il settarismo!
Molti gli appunti, le critiche che si devono ad ogni esecutivo e anche a quello del premier della Leopolda, tuttavia non capire che il paese è all’ultima spiaggia e che deve decidere cosa divenire in futuro, è soltanto miopia che diviene responsabilmente colpevole quando il fine è quello di mantenere un potere di veto e di condizionamento che ha fatto il suo tempo! In altri paesi europei la cogestione è divenuta matura e ha prodotto positivi risultati pur nella crisi. Nel nostro paese di essa non si è mai parlato per rimanere nella confortevole culla della lotta di classe e della rivoluzione che comunque dovrà arrivare!
Uno sguardo al paese reale ci conforta: siamo già oltre e nulla sarà più come prima, potremmo dire!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::201::/cck::