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Quando ho letto la notizia non ci potevo credere: stimati imprenditori agricoli, padri di famiglia e non delinquenti comuni, nella zona del Ragusano sfruttavano, oltre che sul lavoro, tra le numerose serre di primizie, anche sessualmente le povere donne, è proprio il caso di dire, che arrivavano fino alla estremità della Sicilia dall’Est europeo, specialmente rumene, per un misero guadagno.
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Quando ho letto la notizia non ci potevo credere: stimati imprenditori agricoli, padri di famiglia e non delinquenti comuni, nella zona del Ragusano sfruttavano, oltre che sul lavoro, tra le numerose serre di primizie, anche sessualmente le povere donne, è proprio il caso di dire, che arrivavano fino alla estremità della Sicilia dall’Est europeo, specialmente rumene, per un misero guadagno.
La vicenda, portata alla luce dalle inchieste dell’Espresso, del Corriere e della trasmissione Piazza Pulita, hanno alzato il velo dell’indifferenza su una realtà sconcertate di degrado e di violenza su donne assoggettate per bisogno.
Una prevaricazione che ha ridotto in schiavitù oltre un migliaio di donne braccianti, stima fatta dal parroco di Vittoria, don Beniamino Sacco, il paese al centro dello scandalo, che ha denunciato, tra i primi, questa situazione e tre anni fa ha mandato in carcere proprio un padrone sfruttatore.
Inutile dire le minacce che ha subito, ma lui risponde con una battuta tipicamente siciliana: “Non muoio neanche se mi ammazzano“.
Prima che scoppiasse lo scandalo la tendenza in città era considerare le ricostruzioni fatte dal parroco o dalla Flai-Cgil come poco più che leggende rurali, lasciando una situazione di illegalità che andava invece affrontata e, soprattutto, risolta.
Gli investigatori hanno già ispezionato più di 150 persone e una cinquantina di depositi aziendali e proseguiranno a tappeto in tutta la provincia ragusana.
Ciò che colpisce è il totale degrado in cui vivono questi nuovi schiavi pensiamo solamente che qui sono intervenuti addirittura sia Emergency che Medici Senza Frontiere, come se fossimo una zona di guerra, e non un’area altamente produttiva.
Con grave disagio, i volontari hanno affermato che certe situazioni come: magazzini fatiscenti adattati ad abitazione, letti di cartoni, cucine col fornelletto a gas, mancanza di strutture igieniche, la presenza di topi, non le hanno viste nemmeno nelle zone più dimenticate dell’Africa.
Le autorità di polizia e magistrati vorrebbero che le donne sottoposte a questo degrado, denunciassero i loro aguzzini con formali e dettagliate denunce.
Facile a dirsi, ma senza adeguate garanzie di incolumità non è semplice che ciò possa avvenire in poco tempo. Una situazione ancora più complessa leggendo le parole dell’operatrice sociale dell’associazione “Proxima, Ausilia Cosentini: “La mancanza di solidarietà tra i rumeni, e la loro mentalità omertosa, si incastra con quella altrettanto omertosa del territorio. In più, da qualche mese noto un aumento dell’intolleranza“.
Come nei casi di mafia, forse è più concreto, come affermano alcuni esperti, creare un’unità di intervento che, insieme alle forze sociali, oltre che alle istituzioni, operi per avviare un programma di controlli per spezzare l’isolamento in cui vive spesso la comunità rurale e creare trasparenza sulle attività giornaliere in queste serre.
In appendice a questa storia c’è, purtroppo, la mancata solidarietà delle donne del posto. Su L’Espresso leggiamo che le moglie o le figlie di questi uomini tendono a giustificare l’operato dei loro uomini, dando la colpa alle donne dell’Est che istigherebbero la loro dichiarata onestà di padre e marito.
“Per le vittoriesi – leggiamo su L’Espresso – la colpa è delle rumene. Sono loro a tentare il maschio siciliano, per sua natura focoso. C’è una fortissima rivalità tra donne. L’“uomo cacciatore”, ovviamente, è orgoglioso delle “conquiste”. Vantarsi di queste cose dentro le serre è normale“. Non credo che ci sia bisogno di altre parole per capire la situazione di degrado in cui siamo arrivati.
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::autore_::di Fabrizio Cerami::/autore_:: ::cck::228::/cck::