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L’impossibilità di essere ……. “normali”

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Liberalismo in economia o dirigismo, pianificazione o libero evolvere delle forze economiche e del mercato? Sembrano analisi del secolo scorso, del secolo breve delle rivoluzioni e della vittoria delle democrazie sul totalitarismo! Che cosa ci fanno allora nel terzo millennio e nella seconda decade di esso?

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Liberalismo in economia o dirigismo, pianificazione o libero evolvere delle forze economiche e del mercato? Sembrano analisi del secolo scorso, del secolo breve delle rivoluzioni e della vittoria delle democrazie sul totalitarismo! Che cosa ci fanno allora nel terzo millennio e nella seconda decade di esso?
Una bella domanda che molti eludono immersi come sono nell’analisi dell’oggi e nelle tattiche fini a se stesse dei periodi della politica tout court! Eppure la domanda serpeggia nel vecchio continente ancora attanagliato dalla crisi e troppo lento per competere e nel nostro paese. Non è infatti infrequente, con o senza le riflessioni di Thomas Piketty sul capitalismo nel terzo millennio, che le dinamiche sociali, quelle nazionali e quelle continentali risentano della profonda confusione che costituisce il processo decisionale a Bruxelles.
L’Europa è governata dalle banche, dai capitali internazionali, non c’è libertà nella moneta unica, ognuno dovrebbe andare per la sua strada; a rimetterci sono sempre le classi più deboli, il lavoro manca ed è colpa della corsa al profitto! Redistribuire la ricchezza e tassare i grandi capitali. E’ una tiritera interminabile quella alla quale siamo ormai abituati sino alla desuetudine. In tutto questo nessuna strada viene presa, nessuna decisione strutturale assunta e dunque gli attori e i fattori determinanti per l’economia e per il riequilibrio sociale restano improduttivi! E’ una fatalità ineluttabile o un comodo alibi per non decidere? Difficile dare una risposta.
Qualche decennio fa, nel vecchio continente, ai tempi di Kohl e Mitterrand alcuni teorici economico-politici del nord Europa, disegnarono uno scenario futuribile dell’Unione, con i paesi del Sud, come l’Italia (allora quinta o sesta potenza mondiale nel campo industriale) destinati a divenire fondamentalmente un mercato per quelli del nord, con una progressiva deindustrializzazione e marginalizzazione dai processi più incisivi di modernizzazione e sviluppo! Poco più di trent’anni più tardi, ci troviamo più o meno in quella situazione: basta guardare l’uscita progressiva ma non per questo meno grave della nostra economia da comparti strutturali come la chimica, l‘acciaio, l’industria pesante in genere e il suo tributo negativo in termini di posti di lavoro. Contemporaneamente dovevamo divenire il “giardino d’Europa”, il luogo nel quale poter vivere indimenticabili esperienze a contatto con la natura, con la cultura, con l’arte, con le vestigia del passato. Tutto questo per fruitori di nazioni più ricche e industrializzate, con cittadini danarosi e intenzionati a spendere.
Basta guardare lo stucchevole eccesso anche mediatico dell’eccellenze gastronomica, del chilometro zero, della vita all’aria aperta, che sembra costituire la fotografia nel terzo millennio di quella che una volta era la terra di “pizza, spaghetti e mandolino”.
L’Italia resta sempre capace di eccellenze in tutti i campi, anche i più specializzati e di tendenza, ma la sua popolazione è soprattutto un mercato da coltivare! Inutile nasconderci che questo è esattamente quel che vediamo dinanzi a noi, quasi ogni giorno! Mentre chiudono o più spesso de localizzano fabbriche in mano straniera lasciando il paese e per strada centinaia, migliaia di persone alla volta.
Quel che stupisce è che tutto questo sembra attuazione ineluttabile di un meccanismo senza vie d’uscita. Con una stranezza, però! Siamo un paese fermo, deindustrializzato, in via di impoverimento, privo di grandi industrie nazionali, e dunque la nostra ricchezza scende, si riduce! Ecco allora che non possiamo neppure essere quei consumatori spensierati che si voleva che fossimo!
Su questo crinale si gioca ora la battaglia tra evoluzione e conservazione, tra progresso e regresso! E le ricette che vediamo analizzare sanno tutte di vecchio, stantio e rabberciato! Così trust di cervelli di stampo liberale continuano a vagheggiare taumaturgiche virtù di ripresa del sistema lasciato a se stesso; e, per contraltare, da sinistra si chiede a gran voce che lo stato torni protagonista e faccia le veci di un mercato che nessuno ha voluto riformare veramente e adeguarlo alla nostra realtà! Inutile constatare che tutto questo non serve a farci imboccare la via della crescita e della salvezza dal degrado! E’ una battaglia vecchia che andava combattuta e vinta venti anni fa non oggi, mentre il mondo è andato avanti e noi siamo rimasti indietro! In ogni paese si assumono decisioni, ci si scontra, si combattono battaglie senza esclusione di colpi con l’obiettivo di salvare e rafforzare l’economia e la società! Da noi si parla, ci si scontra, ci si offende, si parla di incomunicabilità e si rimane sulle proprie posizioni in modo ottuso! E chi vuole provare a cambiare viene tacciato di velleitarismo e inconcludenza! Tutto questo mentre da ogni parte della politica, si moltiplicano i tentativi di svuotare leggi, renderle inoperanti, far rimanere tutto come prima!
E’ uno strano paese, il nostro! Da dovunque lo si guardi, ci dice una cosa sola: non possiamo essere normali per nessuna ragione al mondo! E questa rischia di essere la nostra condanna!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::252::/cck::

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