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Da almeno 30 anni a questa parte, l’orologio dell’economia nazionale ha sempre segnato un’ora particolare: quella dell’inflazione! Vituperata per gli effetti deleteri sulle tasche degli italiani, apprezzata per la rapidità con la quale ci si è potuti talvolta arricchire con valori anche a due cifre!
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Da almeno 30 anni a questa parte, l’orologio dell’economia nazionale ha sempre segnato un’ora particolare: quella dell’inflazione! Vituperata per gli effetti deleteri sulle tasche degli italiani, apprezzata per la rapidità con la quale ci si è potuti talvolta arricchire con valori anche a due cifre! Comunque considerata un disvalore e combattuta strenuamente, prima ancora del pareggio di bilancio e del patto di stabilità! Un po’ come per lo spread, si è fatto tutto il pensabile e il possibile per ridurre il suo impatto sino a farlo avvicinare come in questi drammatici mesi di regresso del paese, al livello “zero” o addirittura meno, innescando quel fenomeno che va sotto il nome di “deflazione” il contrario appunto del termine del quale parliamo.
Stupisce dunque sentire il presidente della Bce, Draghi, evocare l’inflazione, un po’ di inflazione come un rimedio alla situazione di totale depressione economica e politica dell’Europa e dell’Italia! Sembra che messi in campo tutti i possibili rimedi, stress test per le banche, spending review, dimagrimento di tutte le rendite di posizione anche pubbliche, mentre si tenta di avviare – con l’opposizione tedesca – quel quantitative easing che ha già rilanciato l’economia statunitense, altro non rimanga che evocare l’inflazione, si proprio lei, il nemico pubblico numero uno!
O tempora, o mores! Potremmo dire!
Vediamo allora che cosa si intende per inflazione: essa indica l’aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione progressiva del potere di acquisto (cioè del valore) della moneta. Il fenomeno può avere molteplici cause, sia reali sia monetarie, e assumere forme differenti. Differenti le scuole di pensiero sulle cause di questo fenomeno ciclico.
Gli economisti della scuola monetarista sostengono che l’inflazione è generata da un aumento della quantità di moneta eccessivo rispetto all’aumento della produzione di merci. La moneta immessa nel sistema economico, finendo nelle mani degli individui, prima o poi verrà da costoro spesa nell’acquisto di merci. Se la produzione di queste non può essere espansa perché il sistema economico è in una situazione di piena occupazione (cioè gli impianti e i macchinari sono pienamente utilizzati e non vi sono lavoratori disoccupati), si avrà una domanda di merci superiore all’offerta e un conseguente aumento dei prezzi delle stesse, cioè del livello generale dei prezzi.
Gli esempi portati per dimostrare la validità di tale teoria sono gli avvenimenti monetari successivi alla scoperta dell’America e quelli che si verificarono in Germania alla fine della Prima guerra mondiale e subito dopo la Seconda.
Nel 16° sec. furono importate in Europa dalle Americhe grandi quantità di oro e di argento. Vigendo allora negli Stati europei un sistema bimetallico si determinò un forte aumento della quantità di moneta in circolazione e una notevole crescita dei prezzi. Un fenomeno analogo si verificò in Germania alla fine della Prima guerra mondiale, quando il governo tedesco, per finanziare le spese di guerra, stampò grandi quantità di cartamoneta, generando un forte aumento dei prezzi. I monetaristi sostengono che si ha inflazione ogni volta che il governo (o la banca centrale) per esigenze di diverso tipo (finanziamento del bilancio pubblico, politica creditizia, ecc.) aumenta la quantità di moneta in circolazione.
Vi è poi la teoria keynesiana, secondo la quale è invece l’eccesso della domanda globale sull’offerta globale in una situazione di piena occupazione a generarla, a prescindere dalla quantità di moneta immessa nel sistema economico. La domanda può aumentare infatti, secondo questa teoria, anche se non aumenta la quantità di moneta in circolazione, per effetto dell’aumento della velocità di circolazione della moneta (cioè del numero di volte che la moneta passa di mano in mano). Per descrivere la differenza fra il livello della domanda e quello dell’offerta, Keynes propose nel 1940 l’espressione inflationary gap («divario inflazionistico»): se la domanda è superiore all’offerta, questo gap innesca un processo di inflazione.
Esiste anche la teoria sull’inflazione da costi che nasce dall’esperienza vissuta in molti paesi dell’Europa occidentale negli anni 1960-70. Essa si verifica quando l’aumento dei prezzi da parte delle imprese è dovuto agli aumenti dei costi di produzione; in tal caso l’aumento dei prezzi può generare una spirale inflazionistica per cui all’incremento dei prezzi segue un aumento dei salari che determina un ulteriore incremento dei prezzi. Si parla poi di stagnazione (ristagno produttivo) che dà luogo all’inflazione recessiva o stagflazione. Ricordiamo a questo proposito quella degli anni 1970 indotta sia dagli shocks petroliferi che causarono l’impennata dei prezzi delle materie prime, traslati dalle imprese sui prezzi finali, sia dalle rigidità del mercato del lavoro e dei beni.
Numerosi gli effetti dell’inflazione, in gran parte negativi. Poiché il potere d’acquisto della moneta diminuisce a causa dell’aumento dei prezzi delle merci, gli individui, non volendo detenere il risparmio sotto forma monetaria, si orienteranno verso l’acquisto di beni-rifugio come oro, immobili, ecc., i cui prezzi aumentano e che pertanto sono in grado di preservare il loro valore. In un’economia aperta l’aumento dei prezzi fa diminuire la competitività internazionale delle merci e quindi le esportazioni. Perché le merci di un paese conservino competitività sui mercati internazionali, bisogna che i prezzi delle merci di quel paese non crescano più rapidamente dei prezzi delle merci di altri paesi con cui sono in concorrenza.
E si arriva così alla globalizzazione economica in atto che sembra portare con sé una significativa convergenza fra i tassi inflattivi delle diverse aree geografiche e l’affermarsi della liberalizzazione nei confronti di tutte le attività e i movimenti finanziari ha assunto proporzioni tali da risultare difficilmente controllabili dalle sole autorità nazionali. E diviene centrale il concerto delle decisioni a livello mondiale e da parte delle banche centrali!
Tutto bene, allora! Neanche per idea! In sostanza nessuna delle azioni possibili da mettere in atto sembra in grado di governare e rendere positiva la spinta inflattiva ma è altrettanto vero che una economia depressa non vede circolare ricchezza, se questa non circola, l’economia si deprime ancor più, il cittadino tende a consumare i risparmi e questo lo indebolisce ancor più, impedendogli una stabile capacità di spesa e un coerente andamento dei consumi a favore dell’insieme dei fattori economici e produttivi!
Incastrati come siamo dunque in questo avvilupparsi senza apparente via d’uscita, siamo arrivati all’assurdo di vedere di buon occhio … un po’ di inflazione! Ogni commento risulterebbe superfluo e insufficiente!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::269::/cck::