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Gli immigrati sono una ricchezza, come si ostinano a propagandare alcuni, per altri, invece, un problema difficile da affrontare, ma per molti di noi che guardano attraverso la televisione gli sbarchi di questa povera gente, in realtà, sono solo delle immagini senza anima, senza storia.
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Gli immigrati sono una ricchezza, come si ostinano a propagandare alcuni, per altri, invece, un problema difficile da affrontare, ma per molti di noi che guardano attraverso la televisione gli sbarchi di questa povera gente, in realtà, sono solo delle immagini senza anima, senza storia. Sono solo un male sociale, gente che ci ruba il posto o la casa.
Dietro queste persone, però, non dimentichiamolo, c’è una storia, un vissuto come per ognuno di noi, solo più sfortunata perché lasciano la loro terra, le loro famiglie e molto spesso i figli per un pezzo di pane, senza sapere se mai torneranno.
Il piccolo paese di Chunci, alle falde del vulcano Chimborazo in Ecuador, ha una storia che dovrebbe farci riflettere un po’ tutti.
Ha una popolazione di circa 13mila abitanti, ma il 15% di esso è emigrato negli anni per cercare fortuna in posti di cui ignorava persino l’esistenza come Usa ed Europa.
Partendo, hanno lasciato dei figli, spesso abbandonati a se stessi vivendo solo con i soldi che le madri e i padri mandano loro, nella speranza, spesso remota, che un giorno torneranno per portarli via con sé.
Purtroppo molte volte la solitudine ha il sopravvento, la vita per loro non ha più alcuno scopo e decidono di farla finita prima di aver compiuto diciotto anni. Sono quelli che un tempo, anche da noi, erano definiti gli orfani bianchi.
Il suicidio infantile come ultima risorsa, dunque, per affermare in maniera drammatica la loro volontà, nonostante tutto, di esistere, di essere importanti, almeno per pochi minuti mentre se ne riscontra la morte. In appena due anni, dal 2012 ad oggi si sono tolti la vita 60 bambini, quasi tre al mese facendo aumentare di ben sei volte la percentuale di suicidi nell’intera nazione.
Un triste primato che sembra per fortuna ridimensionarsi da quando le autorità locali hanno cominciato a cercare di risolvere il problema con personale qualificato e investimenti. Ma il male di vivere non passa, forse il suicidio è in diminuzione, ma la vita continua in maniera sempre più indolente spostandosi dalla piazza del paese al bar dove c’è Skype, un modo per contattare i loro cari in qualche parte del mondo e sentirsi dire “ti voglio bene” oppure “il prossimo anno ti vengo a prendere“, una promessa, come abbiamo già accennato, che difficilmente potrà essere mantenuta; i genitori il più delle volte vivono nella clandestinità, con lavori saltuari e certamente non possono permettersi il lusso di riunirsi con i figli.
Così, ogni volta, dopo una promessa l’amara delusione di essere lasciati ancora una volta soli.
In un reportage per la Stampa, Filippo Fiorini ha raccontato le storie drammatiche vissute a Chunci come quella di Maria, nove anni, che si è tolta la vita ingerendo polvere da sparo oppure José, sei anni, che ha bevuto l’acqua ragia ed infine Lourdes, una ragazza poco più che adolescente, stanca di vivere sola e senza affetto all’ennesima promessa non mantenuta dei genitori si è impiccata.
Quando in televisione vediamo allora gli sbarchi pensiamo che quelle non sono solo immagini, ma persone reali, con drammi tremendi come quelli del piccolo paese di Chunci in Ecuador.
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::autore_::di Rosario Vitti::/autore_:: ::cck::296::/cck::