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Fanno sorridere gli attacchi al Governo, da parte di una stampa disinformata e dai sostenitori della licenziabilità dei pubblici dipendenti, perché i pubblici dipendenti sono licenziabili fin dal “Testo Unico” del 1953.
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Fanno sorridere gli attacchi al Governo, da parte di una stampa disinformata e dai sostenitori della licenziabilità dei pubblici dipendenti, perché i pubblici dipendenti sono licenziabili fin dal “Testo Unico” del 1953.
L’articolo 78 di quella legge prevedeva la graduabilità delle sanzioni nei confronti dei pubblici dipendenti partendo dalla censura, per arrivare alla destituzione (appunto la licenziabilità) attraverso la riduzione dello stipendio e la sospensione dalla qualifica. Licenziabilità confermata dopo ben 40 anni nel 1993 con la cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro di pubblico impiego.
Ma allora…? Quale è la materia del contendere? Se il dipendente pubblico è licenziabile, perché la Pubblica Amministrazione è inefficiente?
Evidentemente o perché il dipendente pubblico da licenziare non viene licenziato o perché lo stato di “confusione” e di “inefficienza” che regna da decenni nella Pubblica Amministrazione non può essere ascritto troppo genericamente al pubblico dipendente. Evidentemente, siamo di fronte a generalizzazioni che non mirano a risolvere problemi, bensì a coprire incapacità, volute omissioni di intervento, protezioni di interessi di terzi.
E’ sufficiente andare con la memoria alle numerose inchieste giornalistiche che filmano pubblici dipendenti che escono dal lavoro per fare la spesa senza permesso, senza timbrare l’uscita e senza che il “sistema” organizzativo rilevi la magagna.
Ecco dunque una falla interna del “sistema” che si verifica senza che ad alcuno venga contestata tale responsabilità.
Mentre tali fatti avvenivano, le retribuzioni dei mega dirigenti si moltiplicavano trainando a ridosso quelle dei dirigenti meno mega, fino ad ingenerare nell’opinione pubblica la sensazione di un sistema premiante la fedeltà, ma non quella alla cosa pubblica, bensì al “padrino”, necessaria più che mai per “fare carriera”. Un padrino interno alla filiera che a sua volta è iscritto ad una cordata esterna che fa capo a chi poi ha o avrà, con il cambio di governo, la facoltà di affidare incarichi prestigiosi ed utili per la carriera del travet che poi travet non è.
Non scopriamo soltanto ora l’esistenza e la natura di tali “filiere”.
Un personaggio il cui nome oggi appare addirittura tra i papabili alla prima carica dello Stato si dedicò negli anni ’80 e per molto tempo a migliorare la pubblica amministrazione attraverso un processo di democratizzazione, fondato sul diritto del cittadino a “conoscere” gli atti della pubblica amministrazione che lo riguardavano e, addirittura, ad intervenire nella fase istruttoria dell’atto che lo riguardava per far conoscere le proprie ragioni in una fase anteriore a quella decisionale in relazione all’atto che lo riguardava.
A fronte di una azione non sostenuta sufficientemente dal ceto politico, i risultati non furono eclatanti e, lentamente, la pubblica amministrazione ripiombò nel suo grigiore di inefficienza.
Da alcuni anni, con vicende alterne, stiamo assistendo alla resistenza che viene frapposta alla “comunicazione”. Ciascun centro di potere ritiene non utile, anzi dannoso, essere collegato ad un’unica piattaforma informatica che permetta ad altre parti pubbliche di utilizzare le informazioni in proprio possesso, e, per questo, nell’era 2.0 i cittadini devono ancora richiedere i certificati emessi da alcune pubbliche amministrazioni per fornirli ad altre pubbliche amministrazioni. E nessun dirigente viene licenziato! E la UE ci chiede riforme! Mentre alcune parti politiche vedono ciò come una minaccia alla nostra sovranità! Se non venisse da piangere ci dovremmo sentire ridicoli ed indecorosi.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::339::/cck::