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Alla fine il Marocco ha detto no. Dopo aver tergiversato per giorni, il paese del Magreb ha rinunciato ad ospitare la Coppa d’Africa, la massima competizione calcistica continentale, che si sarebbe dovuta svolgere negli stadi del Regno dal 17 gennaio all’8 febbraio.
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Alla fine il Marocco ha detto no. Dopo aver tergiversato per giorni, il paese del Magreb ha rinunciato ad ospitare la Coppa d’Africa, la massima competizione calcistica continentale, che si sarebbe dovuta svolgere negli stadi del Regno dal 17 gennaio all’8 febbraio.
Il motivo della rinuncia, è la possibile diffusione nel paese del virus ebola, responsabile di migliaia di morti in diversi stati dell’Africa occidentale. La scelta, che ha destato diverse critiche da parte delle nazioni africane, in realtà non è stata un fulmine a ciel sereno.
Il Marocco da sempre rivolge il suo sguardo più all’Europa che agli altri stati del continente nero. Un legame sia geografico sia culturale, vista la condivisione dello stretto di Gibilterra ed addirittura la presenza sul proprio territorio di due enclave spagnole: Ceuta e Melilla.
Ma per capire la vera relazione privilegiata tra il Regno di Mohammed VI ed il nostro continente bisogna guardare in alto, nel cielo. Dal 2006, il sovrano marocchino e l’esecutivo di Rabat, hanno deciso di varare l’operazione “Open Sky”, un accordo con l’Unione Europea che di fatto rende i cieli marocchini identici, in termini di regole, a quelli europei, aprendo il paese anche ai voli low-cost e dunque ad un numero assai elevato di viaggiatori. Al momento si stima che il numero di turisti che ogni anno decide di visitare il Marocco si attesti intorno alle 10 milioni di unità, per un fatturato di oltre 10 miliardi di euro. Un considerevole aiuto per il bilancio del paese, non particolarmente ricco di materie prime.
Proprio in quest’ottica va dunque letta la rinuncia ad ospitare la competizione calcistica africana che, con il suo carico di rischio, avrebbe potuto compromettere la strategia turistica.
Altra peculiarità che contraddistingue il Marocco rispetto ai suoi vicini del Magreb è stata la gestione delle rivendicazioni popolari che in Tunisia ed Egitto hanno portato alle cosiddette “primavere arabe”. Nel luglio del 2010, anticipando dunque le rivolte che nell’anno successivo avrebbero travolto i regimi di Ben Ali e Mubarak, su impulso di Mohammed VI, il parlamento marocchino ha varato la nuova costituzione che consente al premier in carica di nominare direttamente ministri e funzionari pubblici, in modo da dare forza ed attuabilità alle decisioni dell’esecutivo, tutelando al contempo i diritti delle opposizioni. Una svolta democratica, che ha portato alla guida del paese la formazione islamista-moderata di Giustizia e Sviluppo, che finora si è dimostrata in grado di gestire la difficile fase geopolitica della nazione, rispettando l’autorità monarchica e, al contempo, tutelando le istanze dell’elettorato musulmano.
Ma come in tutte le storie di re e regine che si rispettino, nei meandri del Regno c’è anche un lato oscuro. Il Marocco, come altri paesi del Magreb, è attraversato da sud a nord da fiumi di profughi provenienti dall’Africa subsaariana in cerca di un approdo in Europa e le enclave spagnole di Ceuta e Melilla sono una meta privilegiata. Proprio la gestione della massa di disperati, che si accalca intorno alle ex cittadine coloniali in attesa dell’ultimo assalto, è da tempo al centro dell’attenzione delle organizzazioni umanitarie, che accusano la polizia marocchina di comportamenti brutali nei confronti dei più esagitati.
C’è chi dice che si tratta del lavoro sporco eseguito per conto dell’Europa e forse è vero, ma la stigmatizzazione di questi episodi è l’unico modo per mandare un messaggio a coloro che decidono le politiche di accoglienza nell’una e nell’altra parte dello stretto che separa i due continenti.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::348::/cck::