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I due termini dei quali ci occupiamo richiederebbero da soli interi trattati per approfondirne il valore e il significato che nel corso dei secoli, anzi dei millenni della civiltà umana, hanno assunto e incarnato nelle società, nella filosofia, nella religione.
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I due termini dei quali ci occupiamo richiederebbero da soli interi trattati per approfondirne il valore e il significato che nel corso dei secoli, anzi dei millenni della civiltà umana, hanno assunto e incarnato nelle società, nella filosofia, nella religione. Ci atterremo dunque ad una valutazione che potremmo definire più “terrestre” per capirne alcune sfaccettature legate al nostro oggi, nel nostro paese.
La parola servizio, in senso astratto, indica in primis e originariamente un rapporto di soggezione o sudditanza; in particolare, in epoca feudale, l’obbligo del vassallo di rendere tutti i servigi che fossero compatibili con la sua qualità di uomo libero.
Lavoro svolto alle dipendenze di altri, dietro adeguato compenso o espletamento di uno specifico compito connesso alla propria attività.
Molto tempo è trascorso e il significato è nettamente cambiato per divenire sinonimo invece di lavoro per gli altri ma assunto liberamente e consapevolmente. Oppure come lavoro fatto per la collettività nel quadro dell’organizzazione di una società per il soddisfacimento delle sue esigenze.
In questo senso arriviamo al secondo termine, quello di pubblico. Rientra in tale nozione quel complesso di attività prestate nei riguardi degli utenti per il soddisfacimento di bisogni collettivi. La nozione di servizio pubblico è stata, in passato, caratterizzata da una concezione soggettiva: era considerato servizio pubblico quello prestato da parte di un pubblico potere. Si è, in seguito, affermata una concezione oggettiva che, indipendentemente dalla natura del soggetto erogatore, riconosce il carattere di servizio pubblico in virtù del suo regime, dettato proprio per il soddisfacimento delle esigenze della collettività.
Esiste poi un valore che è quello di servizio come dedizione, impegno incondizionato nei confronti di un ideale, una fede, una comunità di persone. Come momento di socialità lo si usa come formula di cortesia e ancora può indicare ciò che si fa disinteressatamente per compiacere gli altri.
Veniamo al punto che ci interessa. Gli ultimi avvenimenti della capitale, lo scandalo del mondo di mezzo con funzionari disponibili alla corruzione e l’ultimo episodio dei vigili urbani assentatisi alla fine dell’anno da “servizio” dandosi malati o indisposti in quantità dell’84 per cento di quelli adibiti al controllo del territorio, ci pongono proprio dinanzi al dilemma di che cosa indichino i due termini di servizio e di pubblico, a fronte dello sfacelo etico e sostanziale che emerge.
Nel primo caso abbiamo l’eterna fallibilità individuale, la incapacità di opporsi alla minaccia, all’avvertimento, alla pressione indebita unita alla vanagloria e al desiderio di accaparrare denaro e posizioni ad onta di ogni competenza. Qui non ha senso neppure parlare di servizio quando esso spesso si evidenzia a favore di comportamenti criminali e neppure di pubblico dato che l’utilità del sistema e dei comportamenti non riguarda la collettività ma ristrette cerchie di persone coinvolte.
Nel secondo caso, pur lontani dal primo, siamo dinanzi ad un’evidente carenza di formazione e di significato al proprio lavoro che richiederebbe un’analisi a parte per le indubbie responsabilità dell’intero sistema di formazione amministrativa nazionale e locale. Si dirà, non è un problema di oggi, i vigili hanno le loro ragioni, i sindacati si oppongono alla mobilità dopo anni di garanzie di stabilità.
Una cosa è certa, quello che è accaduto dimostra senza possibilità di errore che manca il senso delle istituzioni e del proprio ruolo nell’organizzazione dei servizi ai cittadini. Se a questo aggiungiamo che su un organico ipertrofico di oltre 6 mila vigili nella capitale, soltanto un migliaio svolge funzioni diciamo così “stradali”, abbiamo un’ulteriore riprova che qualcosa manca, che qualcosa si è perduto.
La magistratura e l’inchiesta interna al Comune daranno risposte più o meno soddisfacenti, così come non è il singolo ad essere in causa (a parte le ovvie responsabilità personali dirette nelle proprie azioni) ma il sistema in sé, tanto più se hanno fondamento le frizioni interne nei confronti del nuovo comandante, proveniente dall’Arma dei Carabinieri e dunque ontologicamente lontano dalle beghe capitoline, ma il segnale di degrado e di perdita che emerge è una sconfitta per tutti, al di là delle spiegazioni, delle ragioni e dei torti!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::356::/cck::