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Dopo anni di incredibile passività, qualcosa si muove nel contrasto agli eccidi, ai rapimenti, all’arruolamento dei bambini, condotti dai terroristi islamici di Boko Haram
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Dopo anni di incredibile passività, qualcosa si muove nel contrasto agli eccidi, ai rapimenti, all’arruolamento dei bambini, condotti dai terroristi islamici di Boko Haram. Grazie alle prossime elezioni ed alla solidarietà dell’Unione Africana.
Il 30 e 31 gennaio scorsi l’intervento militare dell’esercito del Chad, con appoggio aereo, ha restituito ai legittimi detentori il controllo della città di Malumfatori, nello Stato nigeriano del Borno, ai confini col Ciad ed il Camerun.
Il 29 gennaio, il Consiglio dell’Unione Africana si era riunito ad Addis Abeba, presenti 15 capi di Stato, fra i quali quelli di Nigeria, Ciad, Camerun, Niger e Benin, ed aveva deciso di creare un contingente comune, forte di 7.500 uomini, per contrastare lo strapotere della setta. Sulla decisione adottata, il Consiglio aveva invocato l’appoggio, anche finanziario, dell’ONU e Ban Ki-moon, immediatamente, aveva appoggiato l’iniziativa.
Nella mappa a fianco si nota come Benin, Niger, Ciad e Camerun costituiscano tutti i confini terrestri della Nigeria e che l’iniziativa dell’Unione Africana mira a proteggerli.
Qualche giorno prima ancora si era consumato un vero e proprio week end di terrore per i nigeriani del nord-est sotto gli attacchi dei miliziani di Boko Haram. Fulcro della carneficina la città di Maiduguri, capitale dello stato del Borno ai confini con Niger, Chad e Camerun.
In contemporanea erano stati anche attaccati, 200 kilometri più a sud, nello stato di Adamawa, un numero imprecisato di villaggi con le stesse tecniche, ormai tristemente note: omicidi, saccheggi, incendi delle case, rapimenti di donne e bambini.
Mentre nel nord si consumavano tali misfatti, 1.500 kilometri a Sud Ovest, a Lagos, il Segretario di Stato USA, John Kerry, incontrando il presidente nigeriano Goodluck Jonathan e il candidato suo rivale alle elezioni presidenziali della Nigeria del prossimo 14 febbraio, l’ex dittatore militare Muhammadu Buhari, diceva: “Questa sarà la più grande elezione democratica del continente. Data la posta in gioco, è assolutamente fondamentale che queste elezioni siano svolte pacificamente. Che siano credibili, trasparenti e responsabili”. Parole pronunciate non per atto di cortesia, ma per ricordare ai contendenti gli 800 morti determinati dai disordini post elettorali del 2011, in cui Buhari, mussulmano del nord, perse contro Jonathan, cristiano del sud.
Lo stesso Presidente Jonathan dieci giorni prima aveva fatto una visita a sorpresa a Maiduguri, promettendo di schiacciare i ribelli. Ma il credito del Presidente presso il suo popolo si è esaurito. Molti nigeriani non hanno fiducia neanche nell’esercito ed accreditano la tesi secondo cui Boko Haran sia infiltrato persino nell’esercito fino ai livelli più alti.
L’attacco a Maiduguri non era, comunque, inaspettato. Il 3 gennaio, Boko Haram aveva sequestrato una base militare chiave nella città di Baga al confine con il Camerun, uccidendo centinaia di civili e lasciando la strada principale aperta a Maiduguri.
Anche in questo caso versioni contrastanti: secondo l’Esercito si è trattato di un attacco in contropiede, ma secondo i civili in fuga non c’è stata nessuna lotta.
Maiduguri è il luogo di nascita di Boko Haram, attaccato più volte negli anni della rivolta islamica, costato la vita di migliaia di persone nel solo anno 2014.
Boko Haram ha proclamato, fin dal suo inizio, la lotta alla democrazia per trasformare la Nigeria in uno Stato islamico, anche se la sua popolazione di circa 170 milioni si divide quasi equamente tra musulmani a nord e cristiani nel sud.
E non si deve dimenticare che in Nigeria, già da molto tempo, numerosi stati del Nord adottano al proprio interno la Sharia.
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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::403::/cck::