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Esiste uno iato spaventoso tra le dimensioni della tragedia umanitaria che avviene in vista delle coste italiane ed europee nel Mediterraneo – l’ultima a 60 miglia dalle sponde libiche con un tributo di centinaia, si dice almeno 800
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Esiste uno iato spaventoso tra le dimensioni della tragedia umanitaria che avviene in vista delle coste italiane ed europee nel Mediterraneo – l’ultima a 60 miglia dalle sponde libiche con un tributo di centinaia, si dice almeno 800, vittime senza colpa se non quella di cercare come ha detto Papa Francesco, un po’ di felicità altrove – e le parole che risuonano nelle aule parlamentari, nella comunicazione e sulla rete.
Qui, in questo mondo virtuale si dibatte, si discetta, si arzigogola su come affrontare il problema, come impedire l’esodo o peggio si lanciano proposte inaccettabili per paesi civili o si fanno commenti ignobili (come ignobile è il traffico di esseri umani sottolinea il presidente Mattarella) su quelle che sono persone, donne bambini, uomini in fuga e vittime di soprusi, violenza, discriminazione, intolleranza.
Dall’altra parte, il Mediterraneo – il mare tra le terre dice il suo nome – che si è trasformato in un cimitero spaventoso di destini, di vite spezzate, di vite impedite e di futuro negato.
Se guardiamo al nostro Paese, poi, assistiamo a un continuo scontro verbale nella politica dove il nodo non è avere un’azione nazionale – comune di tutti noi – verso quel che accade, ma indicare sempre il responsabile, il colpevole, il destinatario di ogni accusa, tanto per esorcizzare la responsabilità di tutti noi. Così si attacca sempre il governo – difficile pensare altrimenti per chi fa strame dell’intelligenza – e poi l’Europa, la cui assenza e disinteresse è il vero nodo. In quell’Europa, però, molti dei critici “acritici” e ottusi fanno pubblicità negativa a tutto ciò che è italiano e flirtano con estremisti di ogni risma che ora si definiscono scettici o antieuropeisti!
Come sempre, il nostro sport questo sì nazionale, è quello di denigrare accusare e non proporre altro che ricette senza scopo: blocchi navali militari con annesse azioni contro i predoni, raid all’interno delle rotte dei disperati. Tutte azioni che nel tempo non hanno minimamente scalfito la capacità “offensiva” dei mercanti di morte.
Fa dunque un’impressione orribile ascoltare, sulla pelle di 800 morti – gli ultimi di una lista che non ha inizio e difficilmente avrà fine – accuse politiche di “assassinio” di complicità in delitti, di balle spaziali e di luoghi comuni che costituiscono il florilegio degli attacchi che alcune opposizioni, come la Lega e i 5Stelle, lanciano ogni giorno, in Parlamento e nel paese, contro chi ha la responsabilità di fare qualcosa. Più pacato e più responsabile l’atteggiamento di altri, come Forza Italia, partito che nei governi Berlusconi ha dovuto affrontare l’emergenza umanitaria e ne conosce bene tutti gli aspetti.
La storia di questa tragica realtà del nostro tempo dimostra che soltanto un atteggiamento accogliente, non acritico e non complice, una severa e continua repressione del crimine e una fattiva solidarietà a chi ha perso tutto per cercare di arrivare in salvo da noi, è in grado di contenere la spinta al degrado, fatto soltanto di disinteresse ed egoismo. I blocchi navali hanno senso nell’impedire le partenze – perseguendo anche quanti “commerciano” in natanti fatiscenti alimentando il traffico – e questo non può certo farlo un solo paese come l’Italia, ma quando i barconi sono partiti e sono in vista delle nostre coste, l’unica cosa da fare, ripetiamo l’unica, è quella di salvare più vite possibili e lenire le sofferenze. Non lo dice l’opportunità politica, la strategia, lo dice la legge del mare che nessun egoismo o interesse nazionale può ignorare. Farlo significherebbe abiurare alla civiltà dell’uomo che tanti punti oscuri ha ancora ma la cui luce non si spegne e non dovrà mai essere spenta!
Quello che accade nel nostro mare e che comincia nelle assolate terre equatoriali e attraverso il deserto del Sahara giunge davanti alle nostre coste, non è solo una tragedia della miseria, della povertà e della paura, ma una precisa responsabilità di quanti hanno per decenni visto l’Africa come semplice luogo di conquista, di risorse e mano d’opera a buon mercato, terra da conquistare o sfruttare così come i suoi popoli. Quello che sta avvenendo è una nuova pagina indegna strettamente legata a quella tratta degli schiavi che nei secoli scorsi ha caratterizzato le rotte dall’Africa all’Europa e alle Americhe. Un commercio di esseri umani che ha unito i paesi cosiddetti schiavisti sino alla fine dell’Ottocento in cerca di mano d’opera a buon mercato, con i mercanti arabi che fornivano questa “merce” umana dolente e indifesa lucrando in traffici e commerci.
Una verità questa che non dovremmo mai dimenticare quando affrontiamo questa terribile emergenza. Noi non siamo più schiavisti – come europei – ma portiamo il peso di una responsabilità che produce ancora queste conseguenze davanti a noi!
Forse cominciare a vedere la situazione in questi termini potrebbe fornirci qualche ulteriore risposta. Ma è bene chiamare le cose con il loro nome, per capirle appieno: la ricerca della felicità, della sicurezza altrove, spesso rischia di trasformarsi in una condizione di minorità, in uno schiavismo appunto di esseri viventi su altri esseri viventi. E da qui che le coscienze devono risvegliarsi!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::554::/cck::