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Nigeria: il contrattacco di Boko Haram

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Kano, capital del Borno, Nordest della Nigeria. "KanofromDalaHill" by Shiraz Chakera - Kano from Dala Hill. Licensed under CC BY-SA 2.0 via Wikimedia CommonsLa città di Kirenowa e la vicina comunità di Marte, nordest della Nigeria, nei pressi del lago Chad, sono state strappate, nelle giornate di 23 e 24 aprile, al controllo delle forze regolari nigeriane (per la terza volta dal 2012) per mano di più di un migliaio di appartenenti a Boko Haram, secondo fonti Jeune Afrique.

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La città di Kirenowa e la vicina comunità di Marte, nordest della Nigeria, nei pressi del lago Chad, sono state strappate, nelle giornate di 23 e 24 aprile, al controllo delle forze regolari nigeriane (per la terza volta dal 2012) per mano di più di un migliaio di appartenenti a Boko Haram, secondo fonti Jeune Afrique.
L’attacco, improvviso, si è scatenato da ogni parte, è durato per tutta la notte ed ha costretto le forze regolari ad abbandonare la città di Marte. Le perdite dei civili, rientrati nella cittadina dopo l’ultima cacciata degli insorti, sono sconosciute, come quelle delle forze che si sono combattute.
Il giorno successivo è stato registrato, da parte presumibilmente degli islamisti, un feroce attacco all’isola di Karamga, nel lago Chad, nei confini del Niger. Gli insurgents, in grande numero, a bordo di canoe a motore, con armamento leggero, hanno dato luogo al secondo tentativo, dopo quello del febbraio scorso, di riprendere il controllo dell’isola che costituisce un luogo strategicamente importante per il controllo di una importante area del lago Chad, immerso tra Nigeria, Niger, Chad e Cameroon. Secondo fonti locali le perdite subite dalle forze del Niger sono state molto pesanti e numerosi sono stati gli atti di feroce crudeltà subiti dalla popolazione.
In entrambi i casi, esponenti che hanno volute mantenere l’anonimato hanno parlato di “ritirate strategiche” utili per riorganizzare il contrattacco, effettivamente partito ma con il solo impiego di elicotteri.
Si tratta di due vittorie dei miliziani che interrompono la successione delle sconfitte subite ad opera del contingente delle forze armate di Nigeria, Chad, Cameroon e Niger che li avevano costretti ad abbandonare le loro roccaforti ed a rifugiarsi nella foresta Sambisa (27000 chilometri quadrati nello stato di Borno), ormai con poche armi e poche munizioni.
Secondo quanto riportato dal Vanguard la scorsa settimana, il presidente uscente della Nigeria Goodluck Jonathan aveva rifiutato l’offerta delle Nazioni Unite di invio delle forze internazionali nel nord della Nigeria a sostegno delle truppe nazionali sostenendo che la maggior parte del territorio controllato dagli insorti è stato ripreso e che ciò che serve ora è il sostegno sia per riabilitare la sua gente che per la ricostruzione delle comunità più colpite dagli insorti.
Altre fonti avevano attribuito allo stesso ex presidente una richiesta di aiuto rivolta agli USA, ma smentita da funzionari del Segretario di Stato Kerry.
Il presidente nigeriano Jonathan, sconfitto alle elezioni, cesserà dalle sue funzioni il prossimo 29 maggio, passando la mano al neoeletto Mohammadu Buhari che in un’intervista del 20 aprile scorso ha già dato alcune indicazioni su quanto farà.
L’attacco mediatico dell’intervista e la sua conclusione riguardano le 200 ragazze rapite più di un anno fa a Chibok nel nordest della Nigeria, il tema che più ha colpito l’opinione pubblica, grazie soprattutto all’iniziativa di Michelle Obama che lanciò l’#bringbackourgirls. L’accusa al suo antagonista Jonathan è di “inerzia”, causata dal perdurare di un governo che non ha governato, ossessionato dagli interessi particolari e dedito alla corruzione che hanno fatto dimenticare il dovere di base di affrontare le sofferenze dei concittadini. La promessa è che il suo governo farà tutto quanto in suo potere per riportarle a casa.
Ma il centro dell’intervista è dedicato alla setta di Boko Haram. Non dimenticando la propria provenienza dalla carriere militare egli ha sostenuto che la Nigeria non è stata in grado di dare una risposta all’altezza della minaccia: “mentre i nostri vicini hanno combattuto per spingere i terroristi fuori dai loro confini, il nostro esercito non è stato sufficientemente aiutato e attrezzato per respingere gli attacchi al Nord” del Paese.
“Il combattimento vittorioso contro Boko Haram avrà inizio e fine in Nigeria. Ciò non significa che i nostri alleati non possono aiutarci”.
Con un occhio attento anche agli errori commessi dal suo predecessore soprattutto con gli USA, egli manifesta gratitudine all’ingombrante alleato e volontà di riconciliazione: “… saremmo molto grati di un accordo con gli Stati Uniti e l’addestramento militare, abbandonato sotto il governo precedente, sarà riattivato. E, naturalmente, dobbiamo coordinare meglio le nostre attività militari con quelle dei nostri alleati africani, come il Chad e il Niger”.
Di indubbio interesse nell’intervista è la domanda che egli si pone: “… dobbiamo concentrarci su quello che possiamo fare oltre a contrastare Boko Haram, e mi chiedo perché tanti giovani si uniscono le sue fila. Tra le molte ragioni, c’è povertà e ignoranza. Precisamente, Boko Haram rivendica che la concessione di un futuro migliore attraverso l’istruzione è un peccato. Quando si è tormentati dalla fame, si è giovani e si cerca di capire perché la vita è così difficile, il fondamentalismo può sembrare attraente. Dobbiamo essere pronti a proporre una soluzione alternativa.”

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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::565::/cck::

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