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La “sposa del deserto” per ora è salva. Palmira, la mitica città, snodo obbligato per le carovane che nell’antichità collegavano i porti del Mediterraneo alle terre tra il Tigri e l’Eufrate, è di nuovo sotto il pieno controllo dell’esercito di Damasco.
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La “sposa del deserto” per ora è salva. Palmira, la mitica città, snodo obbligato per le carovane che nell’antichità collegavano i porti del Mediterraneo alle terre tra il Tigri e l’Eufrate, è di nuovo sotto il pieno controllo dell’esercito di Damasco.
I miliziani dell’Is, che nei giorni scorsi avevano conquistato l’area settentrionale del sito archeologico, sono stati respinti dopo una battaglia costata la vita ad oltre 300 persone, combattenti dell’una e dell’altra parte ma anche numerosi civili, freddati durante la ritirata degli uomini del califfato. Un successo fondamentale per il governo di Assad, pronto a tutto per difendere il corridoio che collega Damasco alla città portuale di Latakia, “capitale” della minoranza alauita che controlla il paese.
L’assedio di Palmira aveva destato enormi preoccupazioni nella comunità culturale internazionale, memore delle devastazioni già perpetrate dai jihadisti nei siti di Nimrud e di Mosul, deturpati con esplosivi e martelli pneumatici, con l’intento di cancellare ogni simbolo delle civiltà preislamiche che hanno abitato la regione.
Il clamore del successo conseguito dall’esercito regolare siriano a Palmira è stato però subito smorzato dalla conquista della città di Ramadi in Iraq da parte degli uomini di Al Baghdadi. La capitale della provincia dell’Anbar è caduta dopo un’asprissima battaglia costata la vita a centinaia di soldati iracheni. A nulla sono serviti i raid aerei della coalizione internazionale che si oppone all’Is, a riprova che senza una strategia che preveda anche l’utilizzo di truppe di terra, sbarrare la strada alle milizie del califfato, è impresa quasi impossibile.
La conquista di Ramadi rappresenta un enorme successo strategico per l’Is che ora può puntare direttamente su Baghdad, distante solo un centinaio di chilometri dalla capitale dell’Anbar. Per fermare l’avanzata degli uomini in nero, il governo di Haider Al Abadi starebbe pensando di coadiuvare l’azione dell’esercito regolare con le potenti milizie sciite, opzione che però rischierebbe di consegnare definitivamente anche le tribù sunnite più moderate alla propaganda del califfo.
Tra gli strateghi internazionali, che consigliano il governo di Baghdad, si sta facendo largo l’ipotesi di includere nell’amministrazione centrale e soprattutto in quella locale, proprio quei membri dei clan sunniti ancora disponibili al dialogo. Solo conferendo potere e legittimità ai sunniti iracheni si può depotenziare l’appeal politico del califfato, scongiurando la guerra di religione tra le varie comunità dell’Islam, vero obiettivo di Al Baghdadi. Una strategia che ha bisogno di nervi saldi e soprattutto di uomini in grado di far dialogare le parti, come già avvenuto nel corso dell’ultima fase dell’occupazione americana dell’Iraq sotto la guida del generale Petraeus.
La caldissima estate dell’Anbar è dunque cominciata e la posta in gioco è la stabilità di tutto il medio-oriente.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::593::/cck::