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Amministrative: un voto, solo in apparenza, confuso

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In un’analisi pre voto avevamo sottolineato la grande confusione che regna nel sistema politico e rappresentato la sensazione di un’inadeguatezza sostanziale ad interpretare l’aspirazione alla democrazia pulita

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In un’analisi pre voto avevamo sottolineato la grande confusione che regna nel sistema politico e rappresentato la sensazione di un’inadeguatezza sostanziale ad interpretare l’aspirazione alla democrazia pulita che viene dalla società civile da parte di una classe politica screditata e sotto scacco (purtroppo spesso a ragione) dell’azione giudiziaria.
Allo stesso tempo avevamo sottolineato come gli italiani, assai più dei loro rappresentanti, pur nella complessità e incertezza generale, sanno dare o quanto meno indicare alcune linee, semplicemente manifestando con il voto la loro posizione in merito alle questioni che agitano il dibattito politico nazionale e locale.
Affermare oggi che il voto amministrativo che ha coinvolto sette regioni e centinaia di comuni, abbia dato un segnale certo ed univoco, è icto oculi superficiale ed oltretutto arduo.
Tuttavia emergono alcuni dati che è importante sottolineare e che i responsabili politici e di governo non dovrebbero dimenticare nel futuro.
Fatte salve le questioni locali, le amenità di voti che apparirebbero a un’occhiata superficiale, frutto del caso o del “divertimento” di elettori disillusi e stanchi, e analizzando sociologicamente anche in chiave nazionale, le scelte dei cittadini che vanno comprese, non certo demonizzate, per il rispetto che si deve alla volontà popolare, alcuni punti sono chiari.
Il primo è che la propensione al voto, l’esercizio del diritto primario di partecipare alla vita politica, continua a registrare una decrescita che definire clamorosa è riduttivo. La tornata regionale ha spostato l’ago dell’affluenza verso cifre di poco superiori al 50 per cento degli aventi diritto. Un dato preoccupante e un segnale di allarme ripetuto e conclamato. Non siamo come qualche buontempone sostiene ogni tanto, dinanzi alla maturità di un popolo che si esprime anche con un sostanziale distacco da quello che pure è un diritto inalienabile e fondante della cittadinanza (e si citano in proposito i dati di democrazie considerate avanzate rispetto alla nostra). Siamo invece davanti alla plastica dimostrazione di qualcosa di più grave ed endemico: la disaffezione, la disillusione e quel che è peggio la rabbia impotente di chi dice: non serve a niente, tanto non cambia niente, sono sempre gli stessi anche quando cambiano, e via dicendo. Dunque una sconfitta per tutti. Un trend che rovesciare diviene imperativo primario soprattutto perché convinzione e partecipazione servono in un paese alla prese con le difficoltà, amplificate in modo esponenziale dalla crisi, come il nostro. Il destino è nelle nostre mani e delegarlo senza intelligenza è pericoloso e autolesionista.
Il secondo dato è anch’esso una conferma non positiva. La crisi ormai senza ritorno del sistema dei partiti, senza che ad esso si contrapponga una nuova visione complessiva della rappresentanza. L’unico nuovo che avanza, presunto e non reale, quello dei cinquestelle appare già vecchio perché dopo aver sdegnosamente respinto alleanze e partecipazioni dirette alla cosa pubblica, ora l’avvicinamento al territorio sta indicando i primi segnali di “corrosione” della visione idealistica dei guru. Una diversità in via di omologazione dunque. Un’occasione mancata.
Ma la crisi vera, quella più pervasiva è quella delle forze politiche diciamo così tradizionali. E’ in crisi il Pd, è in crisi il centrodestra, è in crisi e non riesce a trovare un ruolo, l’area moderata di mezzo. Quel che è peggio è che nessuno sembra in grado di rendersi conto che pensare di distrarre gli elettori con liste civiche, liste personalizzate, liste onnicomprensive, è non soltanto rischioso ma suicida. Gli elettori – quelli che continuano e continueranno a votare – metteranno sempre il proprio segno su qualcosa, ma senza essere sicuri sino in fondo di chi si tratta. E questo rappresenta un vulnus sempre più pesante al diritto e alla democrazia sostanziale.
Avevamo scomodato l’immagine della prua del Titanic che inesorabilmente punta contro l’iceberg, mentre nelle sale del transatlantico si balla. Il paradosso è che la prua dell’italica politica sta già fendendo il ghiaccio una volta eterno ma che il balletto continua, incurante di tutto, anche del ridicolo.
Due gli elementi più preoccupanti. Uno per parte potremmo dire.
Il Pd continua il suo cammino di spaccatura e sostanziale devastazione. Il dato elettorale dimostra che la divisione interna è in grado di ricacciarlo alla soglia pericolosa del 25 per cento, dopo l’ubriacatura delle europee e il vagheggiato partito della nazione. Un patrimonio dissolto sull’onda dello scontro interno tra una minoranza priva di peso popolare, ma legata ad interessi quesiti della sinistra tradizionale politica e sindacale il cui unico intento è difendere la propria ridotta di potere e di deterrenza  – negando ogni cambiamento possibile che non sia “filtrato” da un’ideologia stantia ma pervasiva e sempre ostativa – e una maggioranza sempre in cerca di conferme che ha dimostrato la potenzialità di scelte di rottura e di prospettiva (il famoso voto europeo) ma che fatica a vivere con un tessuto fatto soprattutto di potentati locali, di serbatoi di voti e via dicendo, come la vicenda della Campania dimostra, anche al netto degli impresentabili.
Il centrodestra continua la sua dissoluzione organica e il rimescolamento interno con la prevalenza di una Lega vincente, di un rassemblement come Forza Italia che per l’eclisse del leader paga il prezzo più alto e il risultato più basso. Le ragioni sono nella chiarezza anche provocatoria e inaccettabile della dirigenza leghista che sfonda però anche al sud e nella difficoltà di volti presentabili e che buchino da parte dell’area berlusconiana. Il cammino è ancora lungo e anche qui la pulsione alla moltiplicazione dei soggetti non fa sperare nel breve termine in una ricomposizione. I successi come Liguria e Veneto sono lì a dimostrare però che l’area moderata come sempre esiste ed è lì, nei numeri e nelle potenzialità, ma alla ricerca di una guida certa e soprattutto nuova. Il raffronto tra i dati della sinistra e del centrodestra in termini assoluti rappresenta un sostanziale pareggio quanto a presenza elettorale. E’ sul fronte della rappresentanza che il discorso si fa complesso e lo scenario del tutto incerto. Ma è proprio lì, in questo terreno, che occorre lavorare e comprendere la volontà popolare. Non possiamo certo essere un sistema bipolare – pesa la tradizione guelfo-ghibellina, anche autolesionista o tafazziana – ma certamente la proporzionalità pura è ancor più dannosa soprattutto per il suo danno più grave: la possibilità per le pulci di dar filo da torcere al pachiderma. Mascherata o meno la situazione sarà sempre legata a forme di coalizione delle più varie specie. Quel che occorre ritrovare è la capacità di sintesi e di interpretazione delle cose politiche: la difesa dei diritti e il richiamo ai doveri di tutti, politici in primis. E un primo passo sarà stato fatto. Il tempo corre, non lasciamolo andare invano!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::626::/cck::

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