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Quando si vuole parlare di oscurantismo e denigrare la Chiesa, si porta come esempio il processo a Galileo Galilei, dando per scontato che di questa storia il pubblico sappia tutto, ma non è così.
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Quando si vuole parlare di oscurantismo e denigrare la Chiesa, si porta come esempio il processo a Galileo Galilei, dando per scontato che di questa storia il pubblico sappia tutto, ma non è così.
Nella vulgata dei secoli successivi, Galilei appare come un grande scienziato, una verità difficilmente contestabile, ma anche paladino della verità e dell’onestà intellettuale.
Tra i grandi meriti dell’uomo di scienza pisano ci sono i contributi dati alla moderna concezione del movimento e, in generale, alla meccanica fondata su severe dimostrazioni matematiche.
Non solo, Galileo non ha coltivato solo interessi scientifici, ma anche artistici con una vera passione per la musica mentre sul piano letterario le sue opere segnano la nascita della prosa scientifica italiana.
Insomma, un “grande” come si afferma oggi, pur con qualche debolezza umana.
Può sembrare curioso, ma ancora giovanissimo, nel 1597, scrisse il libro “Cosmografia” centrato sul valore del sistema tolemaico o geocentrico, la Terra al centro dell’universo e il Sole che gira intorno ad essa, tesi che a quel tempo insegnava presso l’università di Pisa, ma nello stesso anno, in una lettera indirizzata al suo amico Keplero, dichiarò in barba ad ogni coerenza come, ormai da tantissimo tempo, egli fosse invece profondamente convinto della validità copernicana.
Pochi anni dopo, nel 1606 affronta con successo lo studio del Compasso Proporzionale, del quale scrive in un celebre studio, “Le operazioni del compasso geometrico et militare”, che:” … con l’aiuto di questo mio Compasso in pochissimi giorni insegna tutto quello, che dalla geometria e dall’aritmetica, per l’uso civile e militare, non senza lunghissimi studi per le vie ordinarie si riceve”, ma un docente dell’università di Padova, il milanese Baldassarre Capra, non convinto delle sue asserzioni, pubblicò un piccolo opuscolo nel quale sottolineò tutti gli errori di calcolo nei quali era incorso il Galilei.
Chi si aspettasse a questo punto una avvincente controversia scientifica degna della libertà di ricerca e di parola, sbaglierebbe.
Lo scienziato pisano si rivolse al tribunale di Padova per interdire e sequestrare il testo che osava criticarlo e vinse, grazie anche, si disse, ai sui tanti influenti amici.
Anche all’apice della fama venne ancora fuori il suo carattere quando Keplero, scienziato assai generoso anche con lo stesso Galilei nel dare i suoi lavori per amore della scienza, chiese al nostro scienziato i suoi disegni per costruire anche lui un telescopio e studiare la volta celeste sempre in merito alla libertà di ricerca scientifica.
La risposta di Galilei fu un secco rifiuto, forse perché, tra tanti studi, fu proprio quest’ultimo a dargli la grande fama.
Infatti, fu nel 1610 che perfezionò, non inventò, uno studio olandese sull’ottica e, proprio grazie ad alcuni disegni, riuscì a costruirsi un telescopio a Padova.
Con questo strumento poté osservare la Luna, le stelle, i pianeti, definendone le fasi, la rivoluzione; per primo scoprì gli anelli di Saturno, e così via, suscitando un entusiasmo ovunque, specialmente, non ci crederete, proprio nella Chiesa cattolica ed ebbe, addirittura come estimatore, oltre a tanti alti prelati, lo stesso papa Urbano VIII, che gli riconobbe laute rendite e benefici.
A questo punto della storia qualche lettore potrà domandarsi: ma allora quando ha inizio la lotta della Chiesa contro Galilei e il sistema copernicano insistendo su quello tolemaico?
Possiamo rispondere per brevità che la frattura si compì quando lo scienziato pisano, non contento di studiare le materie scientifiche, volle cimentarsi anche nella teologia.
In alcune lettere affermava, ad esempio, che bisognava leggere la Bibbia in maniera da non contraddire l’idea copernicana.
Essa al tempo, è bene ricordarlo, era ancora un’ipotesi e non una realtà scientifica, ma, nonostante tutto, per lo scienziato era la fede cattolica che doveva riformarsi a questa dottrina ancora in divenire e aggiungeva che se la Sacra Scrittura non può sbagliare per fede, possono però sbagliare i suoi commentatori e, dunque, la stessa Chiesa docente.
Si arrivava così, per semplice deduzione, ad una forma di protestantesimo con tutto ciò che da questo poteva derivare, data la realtà storica di quei tempi, per la Chiesa e la sua dottrina.
Senza queste affermazioni teologiche, ci permettiamo di supporre, probabilmente il caso Galilei non sarebbe mai sorto.
Così, una semplice ipotesi scientifica cominciava ad avere dei risvolti imprevedibili e il sistema eliocentrico copernicano cominciava ad essere visto, proprio per queste conclusioni, con sospetto in molti ambienti della Chiesa.
Contestare, dunque, la validità copernicana, con queste idee che minavano senza alcuna dimostrazione plausibile i fondamenti dottrinali, era per la Chiesa dell’epoca come per la Chiesa di oggi, un dovere assoluto, altrimenti sarebbe venuta meno la sua missione spirituale.
Per ricapitolare non è quindi la tesi copernicana ad essere condannata in quanto tale, ma, come abbiamo accennato, la sua eventuale manipolazione teologica.
Un primo processo Galilei lo subì da parte del Sant’Uffizio su queste sue tesi che contrastavano sulla dottrina. Secondo la vulgata si pensa al povero scienziato torturato, umiliato nella sua dignità di uomo e di scienziato.
Nulla di tutto questo.
Fu solo ammonito verbalmente, neanche una bolla papale o quant’altro, a non occuparsi e non insegnare l’ipotesi copernicana nelle accezioni teologiche.
Ma il Galilei, sicuro della sua verità, e ancor di più delle influenti amicizie nelle varie corti italiane e straniere, non dette molta importanza a questo invito e continuò a scrivere, insegnare e guadagnare molto, oltre ad essere, ieri come oggi per certi intellettuali, il benvenuto nei salotti che contavano.
Arriviamo, così, al secondo processo, quello che poi passerà alla storia come una sconfitta culturale della Chiesa.
L’occasione scaturì dal libro ”Dialogo sui massimi sistemi”, in cui Galilei affronta con grande maestria dialettica i suoi studi e le sue conclusioni.
Il testo, come interessante ipotesi scientifica, ottenne addirittura l’imprimatur del papa Urbano VIII, che, nonostante le precedenti critiche, rimase suo grande estimatore come scienziato, meno del teologo, tant’è che pur dando il suo assenso invitò l’autore a togliere alcune parti che potevano dar adito ad equivoci.
Galilei, invece di ringraziare il papa che gli ha dava questa opportunità, accettò certamente l’imprimatur, ma non i suoi consigli, come risulterà al processo, anzi addirittura contesta con ironia i rilievi pontifici.
Durante il processo, in cui non esiste alcuna tortura, i giudici contestano allo scienziato il suo essere copernicano con le conseguenti tesi teologiche già affrontate, ma durante il dibattimento accadde qualcosa che lasciò interdetti gli stessi giudici e, se permettete, anche noi contemporanei.
Da un lato egli negò sotto giuramento di essere per il sistema copernicano e dall’altra chiese agli stessi giudici di poter scrivere un testo per dimostrare l’autenticità del sistema eliocentrico.
A questo punto il processo, bisogna ammetterlo, prende una svolta drammatica con minacce dure, mai attuate, nei suoi confronti se non abiurerà ai suoi errori.
Non dimentichiamo che c’erano nella Chiesa fautori, e non erano pochi, della validità tolemaica e, dunque, colsero al balzo la possibilità di denigrare tutta l’opera copernicana contro la verità e l’autorità della sacra Scrittura.
In un clima surriscaldato si arrivò finalmente alla conclusione con la sentenza di colpevolezza affermando, purtroppo con il senno di poi, che “il Sole sia centro del mondo e immobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; che la Terra non sia centro del mondo né immobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimente proposizione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in Fide”.
Ricordiamo che se è vero che dal XVII secolo il sistema copernicano comincia a prendere il sopravvento nella cultura scientifica, è anche vero che solo duecento anni dopo, nella prima metà del XIX secolo con l’ esperimento del famoso pendolo dello scienziato francese Jean Bernard Leon Foucault nel 1851 si definì in materia incontrovertibile la tesi copernicana con il suo celebre pendolo.
Il 31 ottobre del 1992, nella relazione finale della Commissione di studio sul processo a Galilei, l’allora cardinale Poupard scrisse che la condanna del 1633 fu ingiusta, per un’indebita commistione di teologia e cosmologia pseudo-scientifica e arretrata, anche se veniva giustificata dal fatto che Galileo sosteneva una teoria radicalmente rivoluzionaria senza fornire però alcuna vera prova scientifica sufficiente a permettere l’approvazione delle sue tesi da parte della Chiesa.
Il problema che si posero dunque i teologi dell’epoca era, pertanto, quello della compatibilità tra l’eliocentrismo e la Scrittura.
Malgrado ciò, ancora oggi di questo XVII secolo si ricorderà solo ed unicamente la “ferocia” del processo contro Galileo Galilei il quale fu condannato a vivere nella sua villa ad Arcetri con la libertà di incontrare i suoi amici e discepoli, ma con il “terribile” obbligo giornaliero di recitare alcune preghiere del Salterio.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::614::/cck::