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Quando la storia è fatta di se e di ma

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“ANSA-PARIGI-24 giugno GENNAIO-2015 (dal nostro corrispondente) Si susseguono, ormai da venti giorni, i moti di piazza non solo nella capitale, ma in tutta la Francia.

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“ANSA-PARIGI-24 giugno GENNAIO-2015 (dal nostro corrispondente) Si susseguono, ormai da venti giorni, i moti di piazza non solo nella capitale, ma in tutta la Francia. Il Governo ha rafforzato le misure di sicurezza affidando alla sorveglianza dell’esercito le zone nevralgiche delle città in rivolta. Il re, Luigi XXV con la famiglia e l’intera corte ha, almeno temporaneamente, lasciato, secondo il portavoce della real casa, la capitale per riparare in un luogo più sicuro. Ambienti bene informati parlano di una località nella Vandea. La rivolta che sta in queste settimane sconvolgendo la nazione è nata, come si ricorderà, da un imponente sciopero generale per chiedere più lavoro , ma , come si ricorderà, i disordini si sono ampliati, i rivoltosi hanno deciso che il nemico da abbattere non era solo il governo, ma il re in persona e la sua dinastia. Per le strade francesi sempre più persone gridano Vive la République!
Questo immaginario lancio di agenzia potrebbe avere, però, una sua validità, se la storia, ovviamente, fosse andata in maniera differente.
Nel caso francese, ad esempio, è noto ormai a tanti storici che se Luigi XVI, istigato dalla moglie Maria Antonietta, non avesse fatto dimettere Jacques Turgot, ministro dell’economia, probabilmente la Rivoluzione che noi conosciamo come francese non ci sarebbe mai stata o almeno in maniera molto più contenuta e sarebbe stata ricordata come una delle tante “rivolte per il pane” che la storia conosce.
Ma perché tutto sarebbe precipitato con le dimissioni di Jacques Turgot?
Turgot era un uomo onesto, amante della cultura, vicino agli ambienti illuministi, ma fedele al re. Dopo una grave crisi economica Luigi XVI decise di nominarlo ministro dell’economia per risanare, per quanto possibile, il bilancio dello Stato e avvenne il miracolo.
Turgot in brevissimo tempo riuscì a ridurre il debito pubblico, liberalizzò i commerci, tolse alcuni privilegi e la situazione economica, già in pochi mesi, stava visibilmente migliorando. Ma non tutti erano contenti. Il suo impegno gli creava tanti nemici, primi tra tutti i banchieri, che proprio dal caos amministrativo del regno guadagnavano ingenti somme di denaro.
Come spesso accade, grazie ad una classica cospirazione di Palazzo, il povero Turgot cadde in disgrazia e il re affidò l’economia del Paese ad un amico della moglie.
Nel giro di pochi mesi tutto quello che aveva creato il vecchio ministro fu dilapidato e l’economia precipitò di nuovo nel caos, ma ormai la gente era esasperata e la storia, quella vera, sapete tutti come andò a finire.
Sempre se la storia si fosse svolta in un’altra maniera, oggi potremmo sfogliare un bel dépliant di viaggi, ad esempio su Vienna, e leggere:”Adagiata sulle rive del Danubio, la città appare con il suo celebre panorama fatto di centinaia di minareti che svettano nel cielo austriaco, primo tra tutti quello della monumentale scuola islamica che da quasi cinquecento anni è il centro culturale per milioni di mussulmani. Per le vie del centro si vedono le donne viennesi con il loro tipico chador nero, ecc…”.
Certo, al giorno d’oggi sembra pura fantasia, ma nel XVI secolo questa visione non era poi così lontana dal realizzarsi…
Nell’estate del 1683, le armate turche, forti di oltre 140 mila uomini, risalendo vittoriosamente i Balcani erano arrivate alle porte di Vienna incominciando uno dei più drammatici assedi nella storia della città. L’esercito austriaco, in realtà composto da soldati di varie nazionalità, era appena la metà di quello ottomano, ma il 12 settembre, sotto la guida del re polacco del re polacco Giovanni Sobieski, riportò una vittoria clamorosa e inaspettata, tanto che i turchi si ritirarono precipitosamente verso l’Ungheria.
L’Austria e l’Europa rimanevano cattoliche.
Senza questa vittoria probabilmente il nostro immaginario dépliant sarebbe stato oggi una realtà. Non dimentichiamo, tra l’altro, che senza questa vittoria non avremmo avuto il celebre croissant (il cornetto), un dolce scoperto, secondo la leggenda, nel campo militare dei turchi ormai in fuga che ne avevano lasciati alcuni ancora caldi.
Potremmo, ovviamente, proseguire con tutta una serie di scenari immaginari a partire di che cosa sarebbe stato dell’ Homo Sapiens se non avesse scoperto il fuoco o se Roma fosse stata sconfitta dai cartaginesi? Oggi, la Città eterna, sarebbe, probabilmente, un piccolo centro commerciale sulle rive del Tevere e l’impero non sarebbe mai nato.
Tutto questo potrebbe sembrare un gioco di fantasia, per divertirsi con gli amici; in realtà è uno studio analitico della storia molto sofisticato dal nome strano di Ucronia, un nome composto che deriva dal greco e letteralmente significa “senza tempo”.
Il termine fu coniato dal filosofo francese Charles Renouvier in un saggio chiamato appunto Uchronie pubblicato nel 1857 nel quale analizza quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente, un po’ come nel  film con Gwyneth Paltrow, Sliding Doors che  racconta la vicende di una donna in carriera la cui vita si sdoppia in quello che realmente accade e quello che invece sarebbe potuto accadere se alcuni fatti fossero andati diversamente.
È un po’ così che funziona la ricerca ucronica.
Storicamente il primo a essere considerato un ucronico, senza saperlo, ovviamente, fu lo storico Tito Livio dove, nel suo Ab Urbe Condita, riflette su cosa sarebbe successo per le sorti della civiltà se Alessandro Magno, invece di conquistare l’Oriente, si fosse diretto ad Occidente: ”…l’aver menzionato un re e un condottiero così grande, mi riporta – affermava lo storico – a considerazioni che tante volte ho fatto tra me e me, e non mi spiace ora valutare quale sarebbe stata la sorte della potenza romana se si fosse scontrata con Alessandro”.
Interessante è anche uno studio agli inizi dell’800 di Lorenzo Pignotti, che, nella sua voluminosa Storia della Toscana, tra l’altro immagina cosa sarebbe successo se Lorenzo Il Magnifico non fosse morto prematuramente a soli quarantatre anni, nel 1492: sicuramente, grazie alle sue doti di governo e di diplomatico, avrebbe difeso la nostra Penisola dalle numerose invasioni straniere e, probabilmente, avrebbe represso i prodromi della Riforma Protestante prima che si diffondesse in Italia oltre che nel resto d’Europa.
Senza andare, però, così lontano nel tempo è interessante leggere di Katherine Burdekin, La Notte della Svastica, pubblicato a Londra nel 1937.
Anche se non riguarda storie possibili del passato, ma si volge al futuro, è interessante come,  elaborando una serie innumerevole di dati culturali, economici, sociali e militari,  l’autrice descrive una futura seconda Guerra Mondiale, allora considerata quasi impossibile, dove vince Hitler e la storia prende, ovviamente, tutta un’altra strada.
Alcuni studi recenti hanno affrontato un altro aspetto dell’ucronia, quello che considera come a volte insignificanti fatalità o dimenticanze abbiano in seguito sconvolto la storia, creando una serie di reazioni a catena con drammatiche conseguenze.
Un esempio classico è la famosa lettera spedita nell’estate del 1941 dal governo giapponese a quello degli Stati Uniti per un accordo in extremis: per una serie di contrattempi, non sappiamo se voluti o meno, la missiva rimase inevasa e a quel punto i generali del Sol Levante, offesi dall’indifferenza americana, attaccarono Pearl Harbour.
Chissà cosa sarebbe successo se alla missiva fosse stata data almeno una risposta.
Gli studiosi ucronici analizzano una grande varietà di elementi che possono pesare sull’evoluzione di un avvenimento. Tra questi anche il fattore meteorologico.
A  proposito del clima, fu clamorosa la disfatta di Napoleone nella famosa campagna di Russia, quando il “Generale Inverno” fece la sua comparsa con largo anticipo rispetto alle temperatura della stagione, trovando impreparate le truppe francesi sia nell’abbigliamento che nel cibo e ne decretò così la drammatica sconfitta.
Lo stesso problema meteorologico, a titolo di curiosità, lo ebbero un secolo dopo le truppe dell’Asse nell’invasione dell’Unione Sovietica con la stessa drammatico esito.
Tornando a Napoleone, se il tempo, in quel lontano 1812, fosse stato più clemente forse oggi l’intera Europa, dagli Urali all’Atlantico, parlerebbe francese.
È stato anche analizzato cosa sarebbe accaduto se l’Imperatore avesse vinto a Waterloo. Prima di tutto il nome della cittadina belga invece di essere sinonimo di una grande sconfitta sarebbe oggi simbolo di vittoria e la sorti dell’Europa sarebbero state certo differenti.
La Francia diventava l’unica potenza continentale, non ci sarebbe stata la Restaurazione, nessun Risorgimento per l’Italia, anzi quest’ultima sarebbe entrata nell’orbita francese, la dinastia dei Savoia probabilmente estromessa dal potere e il Regno di Sardegna sarebbe stato annesso alla Francia. Infine, Milano, in una apparente indipendenza, sarebbe stata la capitale della nuova Repubblica Cisalpina, fedelissima alla Francia e, forse, per celebrare la nuova era politica, l’ingegner Gustave Eiffel avrebbe scelto piazza Duomo per innalzare la sua celebre Torre, ma qui lasciamo correre solo la fantasia.
A proposito dell’Italia e del suo Risorgimento, forse oggi dovremmo studiarlo in maniera differente se Garibaldi avesse accettato nel 1861 la proposta dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Bruxelles, Sanford, il quale su incarico diretto del presidente Abramo Lincoln offriva all’Eroe dei due Mondi il comando supremo dell’esercito nordista.
Tutto sembrava pronto, ma il 12 settembre di quell’anno, quando si presentò a Caprera il Ministro della Guerra degli Unionisti, Marfh, per conoscere la sua decisione il “Generale” decise di rifiutare: “La Patria – come disse in seguito – aveva ancora bisogno di lui“. Lo scenario possibile delle conseguenze di un consenso da parte di Garibaldi alla proposta nordista la possiamo trovare nel libro Garibaldi a Gettysburg di Pierfrancesco Posperi dove, nonostante la presenza dell’Eroe dei due Mondi, vincono i Confederati e gli Usa non sarebbero mai nati, almeno come li conosciamo oggi.
Non solo: in questo contesto fantastico Garibaldi sarebbe stato ucciso.
Le conseguenze per la nascente Italia sarebbero state disastrose: il Veneto sarebbe rimasto all’Austria, forse i Borboni avrebbero ripreso il trono delle Due Sicilie e Roma avrebbe aspettato i bersaglieri chissà per quanto tempo ancora.
Mi rivolgo a chi mi legge: cosa sarebbe successo, ad esempio, se quel giorno vostro padre e vostra madre non si fossero incontrati a quella stessa festa, magari per un semplice disguido? Probabilmente, in questo caso, non lo potreste mai sapere.
In conclusione la storia presente non sempre è l’inevitabile risultato del passato, ma ogni avvenimento è frutto di migliaia di coincidenze: a noi rimane solo di saperle comprendere. 

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::autore_::di Tullio Serafini::/autore_:: ::cck::654::/cck::

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